Ho sempre pensato che per insegnare Lettere bisognasse studiare Dante, Leopardi e la sintassi italiana. Credevo che un buon professore, di qualunque disciplina, dovesse dimostrare (oltre alla preparazione specifica) competenze e abilità linguistiche, elasticità mentale, cultura generale e capacità di comprendere la complessità delle situazioni che gli si presentano nella vita di tutti i giorni.

Lo credevo fino a martedì sera, quando mi sono trovata di fronte le 70 batterie predisposte dal Ministero per “simulare” le prove preselettive per il prossimo concorso a cattedra. Mi aspettavo domande di logica, lingua italiana, competenze informatiche e lingua straniera, come recitava il bando. Non di algebra, insiemistica, calcolo delle probabilità e serie numeriche. Nessuno dei trecentomila candidati penso immaginasse poi che, a fronte di questa richiesta di preparazione matematica non banale (sicuramente scolastica, ma non ovvia per chi da vent’anni o più studia materie Umanistiche), le corrispondenti diciotto domande sulla lingua italiana fossero ai limiti dell’insulto. Capita quindi che da una parte ci sia da calcolare probabilità e dall’altra si domandi quale termine, tra «estraneità, attinenza, diversità, dissomiglianza» completi la serie «somiglianza, similitudine, affinità, analogia». Nell’ambito logico si chiede di stabilire la relazione insiemistica tra «medici pediatri, medici pedanti e infermieri pedanti» (sic) e nell’ambito linguistico si pongono domande che sarebbero adatte in un test d’ingresso per studenti stranieri. Tutto questo a fronte della quasi totale assenza di quiz su ortografia, sintassi, punteggiatura, analisi del periodo e, perché no, latino: cose con cui tutti gli insegnanti si dovrebbero misurare ogni giorno in classe. Del resto, anche le domande inerenti alle lingue straniere vertono principalmente sul lessico, che spesso è specialistico, sminuendo la grammatica.

L’aspirante docente che affronta le prove proposte dall’Esercitatore ha un ulteriore problema da affrontare perché, per evitare «una preparazione troppo mnemonica» non sono offerte le soluzioni. Non sarebbe grave, se non fosse che alla fine dell’esercitazione il programma non propone nemmeno gli errori commessi. O meglio, comunica che la risposta alla domanda 37 è sbagliata, ma non si ha modo di risalire alla domanda in questione. Né è sufficiente ripetere la prova, perché ad ogni accesso il sistema rimescola l’ordine dei quesiti. Chi ha tempo da perdere ed una buona connessione internet si impegnerà per venirne a capo, ma sembra una situazione decisamente discriminante per chi non ha mezzi informatici adeguati.

Tra le altre amenità di questo concorso vale la pena soffermarsi sul fatto che da martedì 27 è online e visibile a tutti l’elenco dei partecipanti. Proprio così, in barba ad ogni legge sulla privacy, siamo tutti schedati per regione e lettera alfabetica, con indicazione di data di nascita e di sede e data di svolgimento della prova. Prova alla quale, tra l’altro, molti dei candidati che lavorano come precari nella scuola non sapranno bene come fare a partecipare, visto che la questione del permesso è controversa. Sì, perché i docenti assunti a tempo determinato hanno una scelta ristretta a due possibilità: il giorno di ferie (se maturato e se concesso) e il permesso non retribuito che, tra l’altro, interrompe il servizio (quindi il giorno o i giorni non sono utili ai fini del calcolo del punteggio).

La sensazione è che la realtà vada ben oltre l’immaginazione, ancora una volta. Anche perché a questi stessi insegnanti, che mentre si preparano per il concorso stanno in cattedra come precari, senza diritti, senza tutele, senza nemmeno le graduatorie (a fine novembre ci sono ancora nomine fino ad avente diritto, il che significa che da un giorno all’altro si può essere licenziati), non si riconosce nemmeno l’anzianità di servizio. L’unica anzianità dichiarata è quella anagrafica, basta scorrere l’elenco dei partecipanti: è online.

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