I cavalli per “guarire” dall’omosessualità. Lo propongono sempre più spesso le “chiese dei cowboy”, realtà cristiane statunitensi – se ne contano ormai più di 750 in tutti gli Stati americani – che si rifanno esplicitamente alla cultura dei cowboy e del Far West. Così, fedeli dal tipico cappello si riuniscono ogni domenica e ora, tramite l’ausilio dei cavalli, pretendono persino di “curare” gay, lesbiche, bisessuali e transgender. Il tutto grazie alla “Equine assisted psychotherapy”, sempre più in voga, che si rifà ai principi della pet therapy. Abbracciare, accarezzare e cavalcare un cavallo, insomma, servirebbe a riportare su quella che questi cristiani reputano essere la “retta via”. E a dimenticare per sempre di aver amato una persona dello stesso sesso. Ilfattoquotidiano.it ha contattato una cowboy church della Virginia, uno Stato americano, e ha avuto conferma della pratica. “La Equine assisted psychotherapy può aiutare la persona immersa nello stile di vita omosessuale o in qualche modo implicata in questo disturbo – spiega R.B, che preferisce rimanere anonimo – e lo fa proprio grazie ai cavalli”.

Così, mentre negli Stati Uniti è vivace il dibattito sulle “terapie della conversione” e mentre lo Stato della California è persino arrivato a vietarle per minorenni e teenager lo scorso settembre, questa chiesa dei cowboy dell’America più interna ha avviato un fiorente business. Perché, chiaramente, tutto non avviene per opera di bene, ma dietro il pagamento di profumate parcelle. “Dobbiamo superare un malinteso – continua la fonte – e cioè che l’omosessualità sia genetica o ereditaria, insomma non si nasce in questo modo. L’omosessualità è in realtà una forma di dipendenza, e come tante altre dipendenze non è una vera e propria malattia, perché è guidata dal libero arbitrio e dalla libera scelta umana. Insomma, l’omosessualità è una scelta e la Eap, usando il cavallo, aiuta a ricostruire il modo in cui la persona è stata intaccata dall’omosessualità e il modo in cui ha iniziato a essere gay o lesbica. L’omosessualità, infatti, per noi è un effetto secondario di un evento primario, singolo o multiplo, nella vita di una persona. Un evento che causa un cambiamento improvviso nel comportamento di una persona e che può essere legato a violenza sessuale, abbandono, abuso, mancanza di un ruolo paterno e maschile, mancanza di autostima e incapacità di agire nella società”. 

Intanto, le associazioni LGBT (di lesbiche, gay, bisessuali e transgender) americane stanno iniziando a raccogliere prove sulla pratica per agire con campagne di informazione e iniziative. Le terapie “riparative” sono sempre più al centro della bufera, con decine di casi documentati di ragazzi e ragazze che non hanno fatto altro che peggiorare la loro situazione, in un mondo, quello omosessuale, con tassi di suicidio più alti della media. La American Psychiatric Association ha più volte condannato le terapie riparative, sostenendo che “l’omosessualità non è una malattia, non è più considerata tale, e quindi non esiste una cura o una guarigione”. Le terapie che promettono di far guarire dall’omosessualità sono spesso portate avanti da gruppi cristiani oltranzisti o da gruppi di estrema destra. E la Pan American Health Association, ente di controllo delle politiche sanitarie dei vari Paesi del continente americano, ha aggiunto: “Queste cure fanno solo del male. L’omosessualità è una variabile naturale della sessualità umana e come tale non è una patologia e non può essere cancellata con una terapia”.

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