Oggi mamma Fabiana si mette in discussione e vuole chiedere scusa.

Il fatto: sabato mattina apro il quadernone di Diletta. Un bel quaderno che si arricchisce sempre più e passiamo la domenica a giocare, studiare e ripassare. Mi rilasso e inizio a riflettere. C’è qualcosa che non torna. Le tante chiacchiere che mi hanno descritto Diletta fuori dalla classe, che mi hanno rendicontato una serie di piccole cose che tutte unite insieme hanno prodotto un vero corto circuito, hanno ferito certamente le persone. E questo non mi sta bene. Non è quello che volevo. Non ho raggiunto l’obiettivo desiderato.

Il mio obiettivo era quello di capire perché mi arrivavano informazioni di un certo tipo. Parlo con Diletta ripetutamente e lei ribadisce che sta bene. Sento di aver sbagliato.

Per coerenza, per umiltà, per necessità scrivo un biglietto di scuse all’insegnante di sostegno. Scelgo una microscopica piantina con tante palline arancioni che in quell’istante rappresentano le mille sfaccettature di una medesima situazione. Vado a scuola.

Chiedo che l’insegnante possa essere chiamata per parlarle. Dal quadernone di Diletta, da come era composto capisco di aver ferito lei senza aver comunicato l’unico desiderio che da madre mi sta a cuore: favorire Diletta in ogni suo percorso.

Ho attaccato il sistema scuola che tutti conosciamo. Non sono però stata capace di discernere e soprattutto di dare conto in modo compiuto dei meriti che ci sono dentro.

Giunge l’insegnante di sostegno e con lei quella di matematica. Quest’ultima sorride e io mi sento una vera idiota. Talmente abituata a combattere, talmente schiacciata dal quotidiano capisco in un secondo, attraverso un sorriso che ho sbagliato di brutto!

Esordisce spiegandomi che lei è felice di avere in classe Diletta. Che mai è accaduto che l’abbia spinta fuori. Chiacchiere e distorsioni della realtà e capisco che è più che sincera.

Guardo negli occhi l’insegnante di sostegno. Scoppio in lacrime ripensando e raccontando di mia figlia con la merenda sulle gambe. Sono lucidi anche i suoi. L’aspetto umano scoppia come un fuoco d’artificio. Un film dentro gli occhi che ripercorre due anni e mezzo che non vedono solo Diletta a scuola. Vedono sforzi continui fatti per Diletta. Da tutti. Sento questa volta di aver sbagliato.

Di aver coinvolto come uno schiacciasassi tutto e tutti senza valutare con attenzione. Le insegnanti parlano e io capisco bene e tutto. Finalmente il nostro orizzonte torna comune. La burocrazia resta la stessa. Però mi pongo una serie di altri quesiti.

Il primo tra tutti è che nel ritrovare negli occhi di questa insegnante lo sguardo rammaricato di quello che lei ha sentito come un attacco, mi accorgo che il mio messaggio è stato errato. Questo errore ha incrinato un rapporto solido fatto di salti ad ostacoli che hanno contribuito al miglioramento di Diletta.

Mi viene in mente che il fatto che in pochi credessero in un recupero così importante per Diletta non era sintomo di astensioni. Ed era questa la mia paura. Quella di non garantire a mia figlia le spinte necessarie a ricominciare secondo la sua “ rinascita “. Errore enorme. Ho sparato a zero per ottenere quando ognuno aveva fatto tutto ciò che io desideravo. A discapito di una normativa farraginosa per tutti, la sostanza c’è tutta. Pettegolezzi, distorsioni e fatti che non avevo verificato. Per stanchezza? Non può essere una giustificazione. Mi era sembrato ovvio che potesse accadere. Abituata a gestire l’inverosimile. Invece non era accaduto. In un mondo scuola preso a martellate una semplice manifestazione di grande professionalità oggi ha fornito a me un insegnamento serio che voglio condividere.

Noi mamme di figli disabili gravi diventiamo guerriere per necessità. Costrette dalla vita che affrontiamo a perdere il piacere della fiducia, del dialogo, della normalità. A volte può capitare, e a me è capitato in questi ultimi giorni, che la stanchezza prodotta dalla resistenza faccia perdere il controllo della situazione.

Mi sono detta tra me e me che sono stata davvero superficiale a non fare la cosa più semplice: incontrare i singoli professori di mia figlia e sentire da ognuno di loro l’andamento di mia figlia.

Distorta e cresciuta tra GLH , PEI, Diagnosi funzionali e PDF ho trascurato la base della costruzione: andare a parlare con i professori. Nessuno insegna a diventare genitori, e mai come oggi mi sono sentita colpevole e inadeguata. Come accade spesso, mi siedo qui e traduco in parole i miei pensieri.

Diletta è passata davanti alla sala dove parlavamo, e in questa condizione di grande umiltà l’insegnante di sostegno, bravissima, ha costruito un ponte tra la sua alunna (mia figlia) e sua madre ( io).

In imbarazzo, ho visto mia figlia oggi per la prima volta, alunna a scuola. Ma sono stata io a non vederla prima. Per questo i conti non tornavano. Non avevo contato bene.

E’ difficilissimo capire quando si è dinanzi una battaglia, e dopo averlo capito si percepisce che non ci sono vincitori né vinti. Ma un risultato che deve essere comune. Oggi a scuola di Diletta la professionalità è stata estesa alla mamma di Diletta cui è stata tesa la mano di persone che non si sono poste come qualunque madre guerriera si sarebbe aspettata. Ma che sono state semplicemente insegnanti di una alunna tra gli alunni nei confronti di una madre tra le madri.

Voglio ringraziare tutti loro e particolarmente l’insegnante di sostegno. Che oggi, silenziosamente , con gli occhi lucidi mi ha teso una mano che resterà ferma li nel mio intimo di madre , davvero a lungo.

Voglio anche scusarmi per non essere stata pronta a gestire questo inizio anno, però voglio anche aggiungere che se questo è il conto per prendere atto che Diletta è enormemente migliorata, accetto il conto ben volentieri. Che sia uno spunto per noi mamme. Che serva a tutte noi per riflettere. Che sia un momento di confronto che aiuti l’inclusione partendo dalla cellula prima della famiglia: mamme e figli.

 

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