Testata: Zeit
Data di pubblicazione : 27 settembre 2012
Articolo originale di Herbert Brücker
Traduzione di Claudia Marruccelli e Valentina Giagnorio per www.ItaliaDallEstero.info

Il silenzioso esodo dal Sud

Secondo recenti sondaggi sempre più forza lavoro abbandona i Paesi del Sud Europa per stabilirsi in Germania. Questo può contribuire ad aggravare la crisi in Europa? La crisi nei paesi meridionali dell’Unione Europea spinge sempre più persone ad abbandonare il proprio paese. Una larga parte di loro arriva in Germania. Nello scorso anno sono arrivati da Grecia, Italia, Portogallo e Spagna circa 37 mila persone, un numero ben superiore a quello dei cittadini tedeschi che sono emigrati dalla Germania in conseguenza della crisi del paese. L’anno precedente le cifre parlavano di 8 mila persone. L’aumento rilevante è sicuramente causato dalla profonda recessione che colpisce sempre di più i Paesi del Sud. L’elevata disoccupazione giovanile e il perdurare di una grave crisi economica in questi paesi potrebbero essere la diretta conseguenza di questa migrazione di massa. I primi dati di quest’anno lo confermerebbero.

I nuovi immigrati in Germania hanno ben poco in comune con i migranti che arrivarono nel paese all’inizio degli anni novanta. Si trattava allora soprattutto di lavoratori stranieri impiegati come semplice manodopera, mentre oggi spesso si tratta di lavoratori altamente qualificati. Secondo quanto comunica l’Istituto di Statistica tedesco, infatti, più del 40 percento dei migranti in età lavorativa hanno perlomeno una laurea, ben oltre la media nazionale tedesca. Numerosi studi statistici indicano che i nuovi immigrati trovano spazio nel mercato del lavoro, nell’economia locale e nello stato sociale tedeschi. Ma che importanza ha l’emigrazione per i paesi di origine? Si tratta solo di una perdita di capitali economici, oppure gli stati in crisi perdono anche capitale umano? Può essere considerata una fuga di cervelli? La crisi si aggraverà in tal modo?

Minore crescita legata all’emigrazione

Se così fosse, occorrerebbe riconsiderare i modelli sull’unione monetaria. Per il premio Nobel Robert Mundell un’elevata mobilità del lavoro è un presupposto importante per il funzionamento di un’unione monetaria. Mundell motiva così la sua teoria: se uno dei paesi membri crolla economicamente, la sua forza lavoro si sposta verso altri stati membri con condizioni di mercato del lavoro più favorevoli, fino a quando la disoccupazione e i salari non raggiungono lo stesso livello. Questo non solo porta ad un uso più produttivo del lavoro e quindi a una maggiore performance economica, consente anche una politica monetaria più coerente.

L’emigrazione di lavoratori qualificati, tuttavia, ha un altro aspetto. L’economista Jagdish Bhagwati, esperto di commercio e sviluppo, negli anni settanta aveva già evidenziato che una fuga di cervelli qualificati, causa perdite economiche nei paesi di origine, che si sono assunti l’onere economico della loro formazione, mentre il reddito che potrebbe essere ricavato da questi investimenti in genere va a vantaggio dei paesi di destinazione.

Anche il settore pubblico di questi paesi beneficia della migrazione, grazie ad esempio all’aumento del gettito fiscale. Bhagwati propone infatti di sottoporre a tassazione anche gli emigranti. Nuovi risultati sulla crescita e l’economia regionale mostrano anche che la migrazione di manodopera altamente qualificata può inoltre aggravare il divario delle possibilità di crescita tra gli stati del sud e quelli del nord. I redditi del sud più povero potrebbero quindi continuare a ristagnare e diminuire, mentre aumenterebbero al nord.

Peggio di così comunque non potrebbe andare. L’esperienza insegna che è sempre solo una parte relativamente piccola della popolazione che emigra, perché, per molte persone i costi sociali ed economici della migrazione sono semplicemente troppo onerosi – anche in tempi di crisi. Anche gli incentivi alla migrazione per le persone altamente qualificate diminuiscono e in modi molto diversi. Il capitale umano acquisito può essere trasferito in un altro paese spesso solo grazie a costi elevati o addirittura in alcuni casi non è possibile farlo, a causa dei diversi livelli di istruzione tra gli Stati. Spesso, le parti interessate devono imparare da capo una nuova lingua, cosa che rappresenta un onere decisamente gravoso. Questo spiega anche perché la migrazione dal Sud verso il Nord dell’Unione Europea, è riuscita fin qui solo in parte, nonostante l’evoluzione molto diversa dei mercati del lavoro.

Inoltre, è possibile che la migrazione di manodopera qualificata non comprometta definitivamente il capitale umano del paese d’origine. Le nuove teorie della fuga di cervelli suggeriscono che solo il fatto di prendere in considerazione la possibilità di emigrare in un altro paese è una buona motivazione nell’​investire nella propria formazione. Spesso, migrano solo persone che oltre ad avere le qualifiche adeguate parlano anche la lingua del paese di destinazione. Tuttavia, dato che solo una parte di queste persone finisce in realtà per lasciare il paese, questo può persino migliorare il paese da cui provengono, se non ostacola la migrazione. Studi statistici hanno confermato quest’ultima teoria. Inoltre, molti immigrati non rimangono per sempre all’estero. Al ritorno, l’ulteriore esperienza di studio e di lavoro conseguiti all’estero, diventano un aiuto nel proprio paese.

Certo investimenti privati di questo tipo nell’istruzione promossi in certi paesi in crisi risultano essere ancora molto ristretti. La crisi economica è arrivata senza preavviso, molti hanno lasciato il paese improvvisamente e senza molta preparazione. I numerosi partecipanti ai corsi di lingua, tuttavia, dimostrano che qualcosa sta cambiando. A breve termine i paesi in crisi potrebbero fallire, perché la forza lavoro migra verso il Nord. A medio e lungo termine, se gli investimenti nell’istruzione aumentano e la migrazione di ritorno assume nuova importanza, i paesi d’origine potrebbero persino trarne profitto.

Disoccupati altamente qualificati nel Sud

Due argomenti garantiscono anche che la fuga di cervelli è una perdita che può essere gestita al meglio. In primo luogo, le cifre dei migranti attualmente sono ancora troppo basse per incidere notevolmente sul mercato del lavoro e la crescita. In secondo luogo, il capitale umano esistente nei paesi in questo momento non è sfruttato – inoltre la disoccupazione tra i giovani altamente qualificati è troppo alta. Il deflusso di capitale umano non utilizzato dall’economia difficilmente  può influire sulla perdita di benessere.

Il Sud Europa non deve quindi avere paura di una fuga di cervelli. Le conseguenze a breve e lungo termine sono gestibili. Ora è importante rimuovere le barriere legali ed economiche alla mobilità lavorativa e incrementare gli incentivi per la migrazione di ritorno. A lungo termine, le economie nei paesi del sud potrebbero trarre beneficio dalle esperienze accumulate negli altri paesi dai loro migranti.

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