La Grande Barriera Corallina australiana, esempio chiave di un ecosistema bisognoso di protezione, è a rischio e l’Unesco, dopo una recente ispezione, si prepara a classificarla come patrimonio dell’umanità “in pericolo”. Anche se sono le barriere coralline asiatiche più di altre a essere minacciate dalle attività umane. Sviluppo costiero, inquinamento e pesca mettono in serio pericolo l’85 per cento dell’area nota come “triangolo corallino”, che include Indonesia, Malesia, Papua Nuova Guinea, Filippine, Isole Salomone e Timor Est, coprendo il 30 per cento delle barriere globali e ospitando oltre 3mila specie marine. È quanto è emerso da un report presentato al 12esimo International Coral Reef Symposium che si sta svolgendo da ieri a Cairns, nel Queensland (Australia). Qui saranno riuniti fino a venerdì oltre 2mila scienziati marini provenienti da circa ottanta paesi per discutere dello stato di salute delle barriere coralline.

Il dato di partenza sembra dunque essere quello del recente report del World Resources Institute (WRI) realizzato in collaborazione con la Coral Triangle Support Partnership (CTSP), un consorzio costituito da WWF, Nature Conservancy e Conservation International, sostenuto da Usaid (United States Agency for International Development). Il documento, “Reefs at Risk Revisited in the Coral Triangle”, parla chiaro: la barriera corallina asiatica ha circa un 20 per cento in più di rischio rispetto alla media mondiale del 60 per cento. Sotto i riflettori, in particolare, la pesca e l’inquinamento. “Quando queste minacce sono combinate con il recente sbiancamento dei coralli, causato dall’innalzamento delle temperature oceaniche, la percentuale di coralli considerati a rischio arriva fino al 90”, si legge nel report, il cui autore principale è Lauretta Burke, senior associate presso il World Resources Institute. Nell’area del Triangolo corallino, oltre 130 milioni di persone fanno affidamento sugli ecosistemi corallini per il cibo, l’occupazione e i proventi del turismo. “L’influenza delle barriere corallini sugli aspetti più importanti della vita delle persone non può essere sottovalutata – ha sottolineato Katie Reytar del WRI – e si estende ben al di là del Triangolo dei coralli”.

Il rapporto mostra che nella classifica dei paesi più vulnerabili agli impatti sociali ed economici della riduzione delle barriere, cinque dei sei paesi del Coral Triangle sono in cima alla lista; solo il 16 per cento delle barriere coralline della regione si trova in aree marine protette, a fronte di un 28 per cento della media globale; meno dell’un per cento di queste aree riduce efficacemente minacce come la pesca eccessiva e distruttiva. Secondo gli autori del report si tratta di una vera e propria urgenza: i risultati del loro studio sono il punto di partenza dell’International Coral Reef Symposium, che si tiene ogni quattro anni e per la prima volta quest’anno in Australia. Il primo giorno della conferenza ha focalizzato l’attenzione sulla situazione globale e le misure necessarie per proteggere le barriere coralline. Il primo atto concreto emerso durante la giornata di ieri è stato la firma di una dichiarazione di consenso, firmata da oltre 2500 scienziati marini, che chiede un’azione immediata sul cambiamento climatico, con la richiesta di interventi per prevenire l’aumento della temperatura dei mari, l’acidificazione degli oceani e l’inquinamento proveniente dalla terraferma. Il moderatore del simposio, Terry Hughes del Centro australiano per l’eccellenza negli studi sulle barriere coralline, ha ricordato che anche la Grande Barriera Corallina australiana, esempio chiave di un ecosistema bisognoso di protezione, è a rischio e che l’Unesco, dopo una recente ispezione, si prepara a classificarla come patrimonio dell’umanità “in pericolo”. 

di Chiara Di Martino 

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