“Se non avete ancora le sedi occupate è solo perché si tratta di interviste”. “Potrebbero imbarcare anche Fli, così finiranno finalmente di prendere per i fondelli i propri elettori con la favola della legge elettorale da fare per il bene del Paese”. “Con la disoccupazone giovanile al 36%, ci tocca leggere in un’intervista rilasciata da Enrico Letta che il futuro governo Bersani sarà in continuità con quello attuale, e per continuare a farsi del male, dobbiamo sentire D’Alema dichiarare che in un nuovo centrosinistra europeo Monti può trovarsi a perfetto agio: ma che erba fumano questi dirigenti del Pd?”.

Una vera e propria rivolta. La base del Partito democratico non digerisce l’esclusività dell’alleanza con l’Udc, a scapito dei progetti con Idv e Sel, così come l’ha proposta da Pier Ferdinando Casini. I commenti fioccano salaci e tutt’altro che favorevoli alle alleanze che parrebbero delinearsi, e sono in molti ad annunciare che “si sono presi la mia vita, non avranno il mio voto”. Mentre tanti altri si rivolgono a chi, come Stefano Fassina e i cosiddetti “giovani turchi”, prova a trovare una posizione autonoma e credibile anche rispetto alle scelte del governo: “Stefano, non riduciamo questo partito a qualcosa che non riconosciamo più”.

La rivolta certo non è sfuggita al segretario Pierluigi Bersani, che prova a fare da baricentro tra Udc e Sel, in attesa di trovare un sempre più difficile punto di convergenza con l’Idv. Senza però chiarire se ha in mente un governo in continuità o meno con le lacrime e il sangue sin qui richiesti dall’esecutivo Monti. ”Monti non voglio arruolarlo, ma che sia una risorsa lo vedrebbe anche un bambino”, spiega Bersani, rivolgendosi “a tutte quelle forze democratiche, moderate, costituzionali ed europeiste che possono dare una mano a sconfiggere il populismo e le derive di destra che si stanno muovendo in Europa: Vendola e Di Pietro dicano se è un punto o no perché da qui per noi non si prescinde”.

Bersani si barcamena: “Io voglio partire da un centrosinistra. Non sto facendo inciuci con nessuno”. Ma non convince la base del partito che non digerisce le profferte di Casini, ma soprattutto dalle successive repliche a mezzo stampa di big come Massimo D’Alema o Enrico Letta in cui si è posto l’accento sulla necessità di dare continuità all’esperienza governativa di Mario Monti, con una sua conferma sulla poltrona di Palazzo Chigi o comunque ribadendo l’ineluttabilità dell’agenda politica così come l’ha dettata la Bce. Che il popolo democratico legge praticamente come la morte della democrazia. Almeno a prestare fede alle prese di posizione pubblicate sui social network o sui forum on-line.

Ma se Vendola ha già fatto intendere che non intende farsi schiacciare da Pd e Udc  e che senza Idv non si va da nessuna parte assieme, Di Pietro ora rilancia: “Basta con le dichiarazioni a mezzo stampa. Ora si apra un tavolo, un cantiere, per fare un programma comune nell’interesse del Paese. Così ci si potrà confrontare sulle questioni che accomunano o dividono partiti nell’ambito di una coalizione di centrosinistra”. Un appello al quale Bersani, però, non può evidentemente rispondere, stretto com’è tra le varie anime del suo partito. A cominciare da quella minoranza veltroniana che vede come impraticabile la via di una moderata attenuazione del rigore montiano, e che soprattutto non perde occasione di stigmatizzare l’inconciliabilità della posizione di Sel con l’aspirazione di Casini a omogeneizzare la politica futura a quanto avviato da Monti. Nella speranza che senza coalizione non ci siano nemmeno le primarie e che, alla fine, a Monti possa succedere solamente Monti, ovviamente in asse con il Capo dello Stato Giorgio Napolitano.

Ma tra la teoria di una democrazia declinata per voce sola e la realtà, ci sono di mezzo non solamente i voti che il Pd rischia di perdere, ma anche una serie di variabili al momento imprevedibili, che riducono il dibattito sul dopo-Monti a una semplice ginnastica di posizionamento. Impossibile infatti delineare il futuro senza sapere se ci sarà una nuova legge elettorale o meno, con premio di maggioranza (per cui sarebbe necessaria un’alleanza ampia) o meno (e dunque sarebbe più semplice immaginare un passo a due), se ci sarà un ritocco verso il proporzionale o sulle soglie di sbarramento. Come pure, al Nazareno ci si interroga sulla reale affidabilità dell’apertura di Casini, sulle reali intenzioni di Monti, e sulla capacità di mediazione di Vendola e Di Pietro. E, prima ancora, sulle primarie annunciate da Bersani, le cui regole potrebbero essere cambiate nell’assemblea nazionale di metà mese. Che potrebbe anche saltare. 

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