Sulle tasse ci hanno (di nuovo) preso in giro. La Corte dei Conti non lo scrive in questi termini ma il senso è chiaro: quella che nelle manovre susseguitesi nel corso del 2011 è stata sempre presentata come una redistribuzione del carico fiscale in realtà non è stato altro che l’ennesimo aumento della tassazione. Nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica in cui denuncia il peso dell’evasione e gli effetti recessivi di un alto carico fiscale la Corte ci spiega anche che per il 2012 ci siamo beccati una patrimoniale sotto mentite spoglie da oltre 16 miliardi di euro (10,7 miliardi con l’Imu sugli immobili e quasi 6 miliardi sulle altre ricchezze), 8 miliardi di nuove accise e 7,5 miliardi di aumento Iva. Quest’anno pagheremo insomma circa 30 miliardi di imposte in più rispetto al 2011 e non riceveremo nessuna contropartita.

La beffa è particolarmente amara per i lavoratori che restano i più tartassati d’Europa e che hanno ricevuto giusto poche briciole: 890 milioni di euro sotto forma di sgravi alla parte dei salari legata alla produttività. Questo il “generoso” riconoscimento arrivato in cambio di una stretta sulle pensioni, delle nuove tasse e di un indebolimento delle tutele normative. Neppure un quarantesimo rispetto a quell’alleggerimento delle tasse sulle buste paga da 38 miliardi che servirebbe per riportarci in linea con la media dei paesi europei. E’ andata solo un po’ meglio alle imprese che tra aumenti della deducibilità Irap ed altri sgravi risparmieranno poco meno due miliardi e mezzo.

I carichi fiscali che gravano su lavoratori e imprese rimangono comunque il primo e il secondo d’Europa. Quanto a tassazione sui patrimoni siamo passati dal settimo al secondo posto preceduti dalla sola Francia così come si è ridotto in modo significativo il gap rispetto agli altri paesi nel prelievo sui consumi a causa dell’incremento di Iva e accise. Il risultato finale è sintetizzato così a pagina 59 del Rapporto: “gli spazi per un aumento del prelievo sono stati impiegati più per accelerare la dinamica del gettito complessivo che non per imprimere una decisa svolta redistributiva a sostegno della crescita economica”. La Corte dei Conti riconosce che visto lo stato in cui versano le finanze pubbliche e il contesto economico internazionale i margini di manovra erano e sono estremamente ridotti. Tuttavia qualcosa di più in temine si spostamenti dei carichi fiscale avrebbe potuto essere fatto.

Comunque purtroppo molto poco, spiega Raffaello Lupi che insegna diritto tributario all’Università di Tor Vergata e che aggiunge: “La Corte ha ragione quando afferma che gli spazi di azione sono minimi. L’Iva è già al 21% e probabilmente salirà ancora e con il debito che abbiamo, che alla fine non riusciremo comunque a ripagare interamente, abbassare le altre tasse è quasi impossibile”. Se poi, al di là delle valutazioni di merito, si volesse tassare di più la ricchezza e di meno i redditi ci troveremmo innanzitutto di fronte ad un problema di carattere organizzativo. Lupi fa infatti notare che al momento “non esiste una banca dati centrale delle ricchezze da cui emerga un quadro completo e veritiero delle risorse economiche di cui dispone un singolo soggetto. Si riescono a colpire singoli cespiti come gli immobili o il conto titoli, basandosi peraltro sui dati degli istituti di credito ma la pubblica amministrazione non è in grado di fare di più. “Servirebbe – conclude Lupi – una profonda opera di riorganizzazione ma queste sono cose che richiedono tempo e che non si possono fare con un semplice decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale”.

 

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