Il leader di Sel e governatore della Puglia Nichi Vendola lo scorso autunno non ha tentennato neanche un secondo per opporsi al pacchetto di privatizzazioni firmato dal governo Berlusconi il 13 agosto 2011. Accogliendo l’invito dei referendari Ugo Mattei e Alberto Lucarelli, Vendola firmò con convinzione il ricorso costituzionale contro l’articolo 4 del pacchetto voluto da Tremonti, quando la crisi dello spread iniziava far traballare il governo del Pdl e della Lega. Una norma che obbliga i comuni a cedere i servizi pubblici locali ai privati, ignorando – di fatto – il risultato dei referendum.

Qualcosa deve essere, nel frattempo, cambiato. Qualche giorno fa lo stesso Vendola che chiedeva di abrogare le norme privatizzatrici – che nel frattempo sono state confermate e rafforzate dal governo Monti – si è detto pronto ad avviare la cessione ai privati di “rifiuti, trasporti locali e acqua“. Una notizia che ha lasciato di sasso il movimento dei beni comuni, che subito ha iniziato a mobilitarsi. “Sull’acqua non privatizzeremo nulla – smentisce parzialmente Vendola – l’acquedotto pugliese rimarrà pubblico almeno fino al 2018”. Una retromarcia solo parziale, perché sugli altri due servizi pubblici locali il governatore della Puglia conferma a ilfattoquotidiano.it di voler accogliere le indicazioni del decreto liberalizzazioni di Monti: cedere ai privati rifiuti e trasporti.

Normale amministrazione? In realtà l’annuncio pubblico del governatore arriva in un momento particolare: mancano appena due settimane all’udienza davanti ai giudici costituzionali che dovranno decidere su quel ricorso presentato ad ottobre, dove lo stesso governo regionale della Puglia, che oggi annuncia le privatizzazioni, chiedeva alla Consulta di bloccarle, per rispettare il voto referendario.

Una scelta politicamente azzardata? “Noi ci batteremo con le unghie e con i denti davanti alla Corte costituzionale – spiega Nichi Vendola a ilfattoquotidiano.it -, questo deve essere chiaro. Ma nel caso in cui la Consulta ci dia torto, l’impreparazione generalizzata può essere l’occasione per l’ingresso della criminalità organizzata nella gestione dei servizi pubblici locali. La domanda è: chi ha più competenza oggi sul ciclo dei rifiuti in Italia? Chi si può presentare sul mercato con una forza economica e capacità di entratura gigantesca? La battaglia sul fronte della Corte costituzionale va benissimo, ma c’è una diffusa distrazione dei pubblici amministratori su questi rischi”. La critica che arriva dai movimenti riguarda però la tempistica: non era forse opportuno aspettare la decisione della Corte costituzionale prima di avviare le privatizzazioni? “Ma il termine è il 30 giugno, noi dobbiamo legiferare entro questa data e la discussione davanti alla Consulta avverrà qualche giorno prima – commenta Vendola – e penso che il privato non può essere contrastato soltanto da una opzione ideale, perché c’è privato e privato”.

La reazione dei movimenti pugliesi è dura: “Noi ci saremmo aspettati una posizione di forte resistenza da parte della regione Puglia – commenta Margherita Ciervo, del Comitato pugliese acqua bene comune – rispetto alle politiche liberiste dei governi Berlusconi e Monti e di non essere la prima regione a fare i compiti a casa”. Nella questione torna poi il nodo non ancora risolto dell’acquedotto, oggi gestito da una Spa a capitale interamente posseduto dalla Regione Puglia, con un processo di ripubblicizzazione partito subito dopo il risultato del referendum e fermato dai ricorsi del governo centrale. La “gaffe” di Vendola che aveva citato anche l’acqua tra i servizi da privatizzare – dichiarazione poi smentita dallo stesso governatore – ha allarmato i comitati acqua pubblica: “Non è vero che l’acquedotto rimane pubblico fino al 2018, come sostiene il governatore – spiega Ciervo – perché la forma della società per azioni non garantisce la gestione pubblica. Nel 2009 l’allora capogruppo del del Pd in consiglio regionale, propose una mozione per la vendita di una quota di Aqp ai privati, decisione poi bloccata solo grazie alla nostra mobilitazione. Se non cambia la forma societaria non ci sentiamo garantiti rispetto all’ingresso dei privati”.

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