Non sono mai stati così tanti e non sono mai stati così ricchi. Parliamo dei miliardari australiani, che hanno quest’anno hanno sbancato la lista dei super ricchi pubblicata dalla rivista Forbes. In un clima di austerity in molti paesi del mondo, l’Australia si piazza seconda solo agli Usa per numero di miliardari in proporzione agli abitanti.

Qui, in un paese di 22 milioni di persone e cento milioni di pecore, si inciampa in un miliardario ogni poco più di milione di persone. Sono 18 i supericchi downunder secondo Forbes, mentre secondo il Sydney Morning Herald gli australiani che fanno una vita nababbi sarebbero addirittura 35. Quanto basta per far dichiarare ai sindacati che andrebbe introdotta una “billionaire tax”, simile alla Buffett rule proposta dal governo Obama (una tassa per chi ha redditi superiori al milione di dollari l’anno).

Ma i miliardari australiani di oggi, molti dei quali magnati delle miniere, non rinunciano facilmente ai profitti. Lo sa bene l’ex primo ministro laburista Kevin Rudd, cacciato dopo aver imposto una impopolare tassa sugli introiti del minerario.

Ma chi sono questi ricchissimi? C’è Gina Rinehart, 58 anni, la donna più ricca al mondo secondo la rivista Brw, con un patrimonio di 22, 6 miliardi di euro. Regna su un impero delle estrazioni del ferro fondato dal padre e da lei moltiplicato più di 300 volte (ha guadagnato quasi dieci miliardi solo negli ultimi due mesi, sempre secondo Brw). Sopranominata Iron Lady, chiude un occhio sui chili di troppo (come molti altri suoi colleghi) ma conta fino all’ultimo centesimo del proprio vasto patrimonio. Ha persino portato in tribunale i figli, per toglier loro i redditi del family trust, accusandoli di fare troppe vacanze con i soldi che lei guadagna.

Non solo. Secondo i Verdi la Reinhart avrebbe proposto di ricorrere a esplosioni nucleari per velocizzare le estrazioni minerarie, e avrebbe chiesto al governo di autorizzarla all’importazione di mano d’opera a basso costo per le sue miniere. L’anno scorso avrebbe sovvenzionato una trasferta in Australia per lo scettico visconte inglese Christopher Monckton, che in una serie di conferenze ha spiegato agli australiani che il cambiamento climatico non esiste e comunque non dipende dalle emissioni.

Ancora più eccentrico della Rinehart è Clive Palmer. Ha sostenuto che la Cia si è infiltrata in Australia, dove avrebbe convinto i Verdi a boicottare le sue aziende di carbone; recentemente ha annunciato che costruirà il Titanic II per i cinesi. Ancora più litigioso della Rinehart, Palmer ha inserito su Who’s Who, alla voce passatempo preferito, “fare causa”. E difatti, di causa in causa, il suo impero ha superato i 5 miliardi di dollari Usa.

Rinehart a parte, questa è una generazione diventata miliardaria nel giro di vent’anni. L’esempio più clamoroso è Nathan Tinkler, classe 1976, il più ricco sotto i 40 anni. Lavorava come elettricista in una miniera di carbone, è riuscito a farsi prestare un milione di dollari e in due decadi l’ha trasformato in un miliardo.

Non tutti sono nel minerario. Molti sono diventati ricchi attraverso finanza, imperi immobiliari o arte. Alcuni infatti hanno aperto gallerie di arte contemporanea, come Kerr e Judith Neilson con la White Rabbit di Sydney, meraviglioso spazio dedicato agli artisti contemporanei cinesi, o Gene e Brian Sherman con la Sherman Foundation. Richard Walsh invece ha costruito quello che oggi è il museo di arte contemporanea più innovativo d’Australia. Si chiama Mona (Museum of contemporary and modern art), ed è in Tasmania. Dentro c’è di tutto: da una mummia egiziana alle installazioni d’avanguardia.

Difficile dire cosa lasceranno in eredità alla società questi miliardari. Come ha scritto Jessica Irwine sul Sydney Morning Herald, visto che nessuno sogna di imporre redditi uguali per tutti, è importante capire se queste ricchezze sono state ammassate a scapito di altri o se invece portano un contributo tangibile, come si dice abbiano fatto Steve Jobs con Apple o Mark Zuckerberg con Facebook.

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