Non decolla, ancora, la missione dell’Onu in Siria. I caschi blu iniziano oggi a svolgere i loro compiti di osservazione e garanzia del cessate il fuoco, ma sono ancora pochi e le condizioni di sicurezza perché possano svolgere il loro compito non sono del tutto stabilite, specialmente in alcune aree del paese.

«Ci stiamo organizzando per essere pronti il prima possibile», ha detto il colonnello marocchino Ahmed Himmiche, comandante del primo gruppi di caschi blu, ai reporter a Damasco. «Siamo ottimisti», ha aggiunto. Nella capitale siriana finora è stato schierato solo il primo reparto di osservatori internazionali, meno di una cinquantina, ma il contingente dovrebbe essere aumentato almeno fino a 250 nei prossimi giorni, se la situazione lo consente. L’Onu ha chiesto al governo siriano di lasciare che gli osservatori facciano il loro lavoro nel modo più completo possibile.

Sul campo, intanto, continuano i combattimenti tra l’esercito regolare fedele al regime di Bashar Assad e formazioni ribelli. In particolare, tra ieri e oggi, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani – Ong antigovernativa con base a Londra – ci sono state vittime ad Hama e nella zona di Idlib.

Oggi invece almeno 39 persone, secondo quanto riferito i comitati locali di coordinamento dell’opposizione, sono morte dopo i bombardamenti delle forze governative nelle province di Idlib e Daraa, nonostante la presenza dei primi osservatori Onu incaricati di verificare il rispetto della tregua prevista dal piano Annan. Nella provincia di Idlib, secondo le stesse fonti, le forze governative hanno colpito il villaggio di Shannan con razzi e raffiche di mitragliatrice sparati da elicotteri. I Comitati affermano inoltre che 8 dei morti sono persone “giustiziate” sommariamente dopo essere state catturate. Nella provincia di Daraa sono segnalati pesanti bombardamenti di artiglieria in particolare sulla città di Basr al Harir.

Il nord del paese, vicino al confine turco, è al momento la zona più calda. Lì le operazioni dell’esercito e gli scontri con i ribelli praticamente non sono mai cessati, anche se da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, quattro giorni fa, si sono un po’ ridotte di intensità. Nonostante questo, secondo i gruppi dell’opposizione, lunedì in tutto il paese i morti sono stati almeno 45.

Il governo di Damasco ha ripetutamente accusato la Turchia di favorire l’ingresso in Siria di gruppi armati, mentre Ankara, da parte sua insiste che il cessate il fuoco non è sufficiente. Lo ha ripetuto oggi anche il premier turco Tayyip Recep Edrogan, parlando davanti al gruppo parlamentare del suo partito: «Il cessate il fuoco non sta risolvendo la crisi – ha detto – e soprattutto non risponde alle esigenze del popolo siriano». Erdogan ha anche ricordato che ci sono due giornalisti turchi da settimane nelle mani del regime, «e il governo deve rispondere anche di questo».

La diplomazia si muove anche su altri fronti. A Mosca, oggi è arrivata una delegazione dell’opposizione per incontrare il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov. Secondo l’agenzia di stampa russa Interfax, gli oppositori hanno ripetuto che non sono possibili negoziati diretti con il regime di Assad, responsabile della repressione che ha causato oltre 9 mila morti. Lavrov, però, ha avvisato che «ci sono forze esterne che hanno interesse a che il piano Annan fallisca». Lavrov ha ammesso che il cessate il fuoco «è molto fragile», ma ha attribuito una parte di responsabilità a quelli che «si impegnano per farlo fallire, consegnando armi ai ribelli». Secondo il capo della diplomazia russa, l’obiettivo di questi Paesi è di «sostituire all’Onu il gruppo informale Amici della Siria – quello sponsorizzato da Ankara, ndr – e per questo incoraggiano l’opposizione siriana a non collaborare con il governo».

Kofi Annan, da parte sua, è in viaggio verso Doha, Qatar, dov’è previsto un vertice della Lega Araba per parlare della situazione in Siria. Da Washington, intanto, il segretario di stato Hillary Clinton, secondo l’Agence France Press, ha detto che gli Stati Uniti si stanno preparando a discutere con gli altri Paesi alleati dei «passi successivi» al cessate il fuoco. «Il governo siriano non deve solo rispettare la tregua – ha detto Clinton ai reporter – Ma deve anche rispettare gli altri punti del piano Annan, tra i quali c’è anche la liberazione dei prigionieri politici e il rispetto del diritto a manifestare». Secondo Clinton, «questa settimana sarà cruciale per valutare il rispetto dell’applicazione della risoluzione Onu», ma se «il regime riprende con le uccisioni e con l’attacco ai civili, allora dovremo valutare i prossimi passi». L’onere della prova, secondo Washington, spetta ad Assad.

Nel puzzle siriano si aggiunge un altro tassello a complicare ulteriormente la situazione. Secondo il quotidiano turco Zaman, infatti, il vice presidente iracheno Tareq al-Hashemi ha accusato l’Iran di «usare lo spazio aereo iracheno» per portare in Siria armi e munizioni destinati alle forze del regime. Al Hashemi, fuggito dall’Iraq alcune settimane fa dopo il secondo mandato d’arresto spiccato nei suoi confronti – nell’ambito di una intricata lotta politica in Iraq – e ed è ora in Turchia, dopo essere passato per Qatar e Arabia saudita. Le sue accuse, quindi, sembrano soprattutto interessate, ma aggiungono un altro elemento di inquietudine al rischio che dalla Siria, senza una soluzione in tempi rapidi, la crisi possa estendersi a tutti i paesi confinanti.

di Joseph Zarlingo

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