Ha venduto l’anima. Hanno tradito la loro fede. Andrea Masiello, Alberto Savarese, Roberto Sblendorio, Raffaele Lo Iacono: ex calciatore del Bari il primo, capi ultras biancorossi gli altri tre. Nomi e storie all’interno di un’inchiesta della magistratura sul calcio marcio, ma soprattutto simboli di un pallone scoppiato, torbido e dal tanfo nauseabondo. Uno è il Faust al sapore di riso, patate e cozze: si è venduto il derbissimo con il Lecce – la partita delle partite – per cinquantamila euro, si è fatto gol da solo per non correre rischi. Come se Javier Zanetti di proposito facesse vincere il Milan nel derby… Gli altri hanno sputato sulla loro stessa ragione di esistere: chi vive di tifo sposa una filosofia di vita, se tradisci quella filosofia tradisci te stesso. Quindi sei finito. Al pari di quelli che in te credevano.

Sullo sfondo una città, Bari, che ora crede solo in San Nicola. E sì, perché negli ultimi tempi è rimasta scottata. Si è fidata di Nichi Vendola ed è deflagrato lo scandalo sanità che ha travolto parte della sua giunta; si è fidata di Michele Emiliano e l’immagine del sindaco al di sopra di ogni sospetto è annegata in una vasca di cozze pelose e spigoloni; si è fidata dei soldi e della bella vita offerti del faccendiere Tarantini ed è stata dipinta come un il puttanaio d’Italia.

Rimanevano il santo, il profano e il diversamente sacro: San Nicola, la Bari e la Curva Nord. La Bari (così è chiamata la squadra di calcio) è retrocessa anche perché chi ne indossava i colori si è venduto il campionato. La Curva Nord, o almeno chi si è sempre fregiato di rappresentarla, ha fatto di peggio: si è venduta la fede. Ha chiesto ai suoi beniamini di perdere la gara col Cesena per poter guadagnare con le scommesse. Dicevano i calciatori corrotti: “Onoreremo il torneo, seppur compromesso, per rispetto verso i nostri tifosi”. Ora sappiamo che hanno mantenuto i patti: hanno perso (anche) col Cesena per ‘rispetto’ dei tifosi, tanto che questi ultimi sono riusciti a ‘barattare’ la rabbia per la retrocessione con qualche migliaia di euro facili facili.

Ecco, il secondo livello delle indagini sul calcio truccato ha stilato questa terribile diagnosi: il cancro che sta ammazzando il sistema-calcio ha sviluppato metastasi anche tra chi dovrebbe combattere la malattia. Prognosi? Inevitabile: la fine del giocattolo, perché solo il calore e il colore dei tifosi avrebbero potuto rappresentare l’antidoto alla bramosia autodistruttiva dei protagonisti di un sistema che – la sensazione è forte – da qui a breve sarà nuovamente sconquassato dagli sviluppi delle inchieste.

Per ora il pallone non rotola più. Almeno a Bari. E quando tornerà a farlo – giustizia sportiva permettendo -, il rischio sarà quello di fare i conti col peloso effetto ciclismo, dove chi vince per distacco è un dopato per definizione. Rimane il Santo, sempre che a questo punto non si stia vergognando di aver dato il nome allo stadio dove si è consumata la bestemmia.

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