“Fiducia”, esclama il cardinale Bertone uscendo dall’ambasciata d’Italia presso la Santa Sede. “Il vostro sostegno e le vostre preghiere”, sussurra Mario Monti a mons. Paglia. Il tradizionale vertice Governo-Chiesa, che si tiene ogni anno in occasione dell’anniversario dei Patti Lateranensi, avviene in un clima di relax, sorrisi e sintonia. “Non può essere il problema dell’Ici a mettere in discussione il rapporto tra Italia e Vaticano”, sostiene il presidente del Senato Renato Schifani. Giura e garantisce l’ambasciatore Francesco Maria Greco: “Non si è parlato di Ici. Si è parlato di tutto ma non di Ici”.

Non c’è motivo di non credergli. Vaticano e Cei, in realtà, erano a conoscenza in anticipo dell’architettura della lettera del premier Monti al vicepresidente della Commissione europea Almunia. Non conoscevano la lettera del testo, ma la “soluzione” era già stata comunicata per canali riservati e soprattutto il presidente del Consiglio si era speso durante la visita in Vaticano il 14 febbraio – parlando con il Segretario di Stato Bertone – a spiegare che il pasticcio dell’esenzione agli immobili ecclesiastici, dove si praticano attività commerciali seppure in maniera “non esclusiva”, andava rapidamente cancellato per evitare una pesante multa retroattiva ai danni della Chiesa.

La morale di questa storia è duplice. Vaticano e Cei hanno accettato la linea Monti soltanto dinanzi alla forza bruta dell’intervento europeo. La soluzione del premier implica una tacita amnistia per le massicce evasioni del passato. L’esempio della piccola iniziativa della giunta Alemanno fa testo. É bastata un’azione-sondaggio presso alcuni istituti religiosi di Roma e si sono recuperati improvvisamente 9 milioni di euro. Anche senza avventurarsi nei calcoli di chi prevede circa due miliardi di introiti, si può ragionevolmente prevedere che una cifra tra i quattrocento e i cinquecento milioni possa essere recuperata. Non è casuale il gioco delle parti della Cei, che sottolinea si tratti di una iniziativa “unilaterale” del governo rispetto alla quale i vescovi si riservano di esaminare il testo del futuro decreto. Perché sulla terminologia precisa, che verrà impiegata, e particolarmente sui metodi di calcolo della superficie no profit e della superficie commerciale di uno stesso immobile ecclesiastico si giocano milioni di euro.

Il premier può certamente vantare a suo merito l’aver portato nell’alveo della pulizia e della correttezza fiscale una materia, che definire grigia era già un eufemismo. “Linea ineccepibile”, ha commentato durante il ricevimento in ambasciata Pier Ferdinando Casini: segno che l’ok di massima delle autorità vaticane era già arrivato. E tuttavia si pone l’interrogativo se e in che maniera i vertici della Cei intendono collaborare fattivamente per fare emergere il sommerso fiscale degli enti ecclesiastici che praticano attività commerciali. Un conto è il fatto che la finanza debba scovare ad uno ad uno gli ex-furbetti, un conto è che dalla Cei partano direttive (e si controlli) che ogni ente presenti uno stato dell’attività veritiero alla prossima dichiarazione dei redditi. Da questo punto di vista Monti, per allinearsi agli standard europei più avanzati, dovrebbe richiedere (come fa la Germania) che qualunque istituzione – quindi anche le diocesi – percepisca fondi pubblici, è tenuta a presentare il bilancio dei suoi beni mobili e immobili. Questo sarebbe il passo decisivo verso la moralizzazione fiscale delle proprietà ecclesiastiche.

Certo, in un primo tempo si alzerebbero lamenti biblici contro chissà quale attentato alla libertà della Chiesa, ma poi verrebbero a cessare. L’esperienza di questi mesi rivela che, appena si accennò a rivedere la legislazione sull’Ici, partirono bordate di indignazione e vittimismo da parte degli ultras clericali. Voci affievolitesi, quando i cardinali Bertone e Bagnasco hanno riconosciuto che il problema esisteva.

Per risanare il bilancio italiano si pone peraltro un’altra questione al governo Monti. Il premier ha la facoltà di attivare la commissione italo-vaticana per rivedere il gettito dell’8 per mille dell’Irpef. È previsto dalla riforma del Concordato del 1984. È noto, infatti, che gli introiti della Chiesa sono cresciuti in modo abnorme e sproporzionato alla sua struttura. Nel 1989 la Chiesa percepiva 406 miliardi di lire all’anno con le vecchie norme sulla congrua. Oggi il miliardo di euro, che incassa, equivale a quasi 2000 miliardi di lire. Perciò una revisione è urgente. Mentre radicali e atei dello Uaar gridavano in strada slogan per l’abolizione del Concordato, nelle sale dell’ambasciata si sono svolte le conversazioni politiche. Monti è venuto quasi con il governo al completo. Prima si è intrattenuto con Bertone e Bagnasco sui temi “bilaterali” tra Italia e Vaticano, poi con l’arrivo del presidente Napolitano si è passati alle questioni internazionali con particolare attenzione alle vicende europee, le crisi nel Vicino Oriente e la difficile situazione dei cristiani mediorientali.

Il Fatto Quotidiano, 17 Febbraio 2012

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