Sarà impopolare. Ma visto che in rete, praticamente, non lo dice nessuno, io voglio dirlo. Che la riforma delle pensioni della Fornero è giusta. Non parlo del blocco dell’indicizzazione, che va alzata almeno a 1.400 euro (cosa che sembra si faccia, coprendo gran parte delle pensioni). Non parlo dei lavori usuranti, che meritano certamente un trattamento particolare – anzi, le categorie che ricadono in questa fattispecie vanno ampliate. E non nego, infine, che per molti pensionandi ci saranno disagi – tra l’altro bisognerebbe aiutare i disoccupati che vedono allontanarsi la possibilità della pensione: per Bonanni, però, il redditto minimo garantito “é una misura da anni ’70”.

Ciò tutto premesso, va detto: portare in avanti l’asticella dell’età pensionabile è sacrosanto. Basta un dato su tutti: di tutta la spesa sociale italiana, l’80 per cento se ne va in pensioni e sanità. In pensioni, in particolare, se ne va oltre il 60 per cento del nostro stato sociale, circa un quarto in più degli altri paesi europei.

A cosa porta questa situazione è presto detto: per asili nido, supporto agli anziani e ai disabili, non rimane niente. Per i precari, poi, ancora peggio. Il nulla: niente di niente. Niente supporto nei periodi di disoccupazione, niente aiuto per i mutui, asili pubblici scarsi e carissimi, zero supporto alla maternità.

Ai sindacati, a Cgil, Cisl e Uil, non interessa. Si rimettono insieme – dopo anni –  contro l’allungamento dell’età pensionabile. Mai una volta che l’abbiano fatto contro la precarietà: come succede su molti posti di lavoro, i precari sono quasi dei nemici per i tutelati.

Fanno sempre così, i sindacati. Nel 2007 Prodi aveva da parte 10 miliardi di euro, il famoso tesoretto. 10 miliardi: vi rendete conto di quanti sono? Si poteva rivoluzionare il welfare italiano. Cosa ci hanno fatto invece? Li hanno usati tutti per risparmiare due anni di lavoro a 150mila pensionandi. 150 mila! Una incredibile minoranza in confronto a cinque milioni di precari rimasti, come sempre, a becco asciutto.

E vogliamo dirlo anche? Chi va in pensione da qua ai prossimi dieci anni – così come tutti quelli che sono andati in pensione negli ultimi cinquant’anni – avrà un regalo. Prenderà un assegno mensile di circa il 20 per cento in più di tutto quello che hanno versato – il famoso metodo retributivo. Per chi ha vent’anni oggi, trent’anni e perfino quaranta, invece, questo non varrà – il famoso contributivo. Tanto hai pagato, tanto riceverai.

Secondo i calcoli fatti con i software online, il sottoscritto per andare in pensione con lo stesso assegno di chi va oggi con il metodo retributivo – circa l’ottanta per cento dell’ultimo stipendio – dovrà ritirarsi a 72 anni. E così tutti i trentenni di oggi che come minimo si sono sparati sei-sette anni di precarietà: chiedete al primo che vi capita a tiro: “La pensione non ce l’avrò mai”, vi risponderà di sicuro. Questo però, per Cigl Cisl e Uil non è mai stata macelleria sociale. Perché in questo caso i macellati non sono tra i loro iscritti.

E dov’è allora l’equità? È equo far mantenere i nipoti dai nonni? Non sarebbe più giusto spendere meno in pensioni e più in sistemi flessibili, che aiutino tutti, garantiti e precari, uomini e donne, nonni e nipoti?

Sarebbe anche ora, infine, che tra petizioni online, pagine Facebook, raccolte di firme, appelli, un po’ di spazio se lo prendessero anche argomentazioni che guardano al domani. Al netto delle parole d’ordine del passato, quella per il nuovo welfare è una grande battaglia progressista.

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