Il vecchio mondo cerca di bloccare il nuovo. Confindustria e produttori tradizionali di energia elettrica chiedono una moratoria allo sviluppo delle fonti rinnovabili e agli impianti di accumulo. Enel rilancia il carbone a Porto Tolle (dove il 29 ottobre si svolgerà una manifestazione nazionale) e chiede di potenziare le linee di trasmissione sulla dorsale adriatica per accogliere l’elettricità profusa dai nuovi impianti a lignite in gestazione in Kosovo o immessa dai reattori nucleari gestiti in compartecipazione nell’Europa dell’Est. Il suo Ad, Fulvio Conti, minimizza la vittoria dei sì antinucleari confermando l’intenzione di aumentare il peso del settore atomico dell’ente in Slovacchia, Spagna e Francia grazie alla collaborazione con Edf.

Dopo il 12 e 13 giugno, nonostante l’indicazione di 27 milioni di votanti, ha quindi ripreso vigore la battaglia dei produttori e dei grossi consumatori di energia contro i produttori di elettricità da fonti rinnovabili. Due sono i fronti aperti dai vecchi poteri che si muovono su scala internazionale. Da una parte l’abbassamento “drogato” del costo di mercato del gas ottenuto a prezzo di elevatissimi impatti ambientali (lo shale gas di Usa e Canada) accompagnato dalla bufala del “carbone pulito” abbinato al pericolosissimo sequestro di CO2. Dall’altra, una gestione della rete elettrica che impedisca un utilizzo efficiente dell’eolico e del solare attraverso gli accumuli e la diffusione delle smart grids.

Già nei mesi scorsi, appena Terna aveva palesato i propri progetti per costruire impianti di accumulo, forte era stata la reazione di Enel e Confindustria. Ora lo scontro si è riacceso e non riguarda al momento impianti di pompaggio idroelettrici, ma vere e proprie “batterie” per un totale di 130 MW, che Terna intende costruire nel Sud d’Italia per “evitare che parte dell’energia prodotta con le fonti rinnovabili vada sprecata”. In effetti, il “vecchio” sistema elettrico è ormai compromesso dalla crescente produzione di energia elettrica da Fer, energia più difficile da dispacciare rispetto a quella prodotta con le fonti fossili. Da notare che le Fer questa estate hanno fatto il botto: a settembre, terzo mese consecutivo, il sole ha prodotto 1,3 miliardi di chilowattora. Il che equivale a quattro volte l’energia elettrica prodotta dal termovalorizzatore di Acerra da inizio anno!

L’intero sistema va cambiato perché non ci sarà più equivalenza fra produzione e consumo. Pertanto occorre poter accumulare il surplus e rendere più intelligenti le reti, capaci di funzionare in entrambi i sensi e riuscire a gestire la domanda di energia. È chiaro che qualcuno non è stato capace di prevedere i tempi e ha spinto la costruzione di centrali che secondo i business plan dovevano funzionare a ritmo pieno, mentre è un miracolo se funzioneranno a ritmo dimezzato. Eppure si continuano a progettare centrali, a modernizzarne di obsolete, a comprare energia dall’estero pur di fare profitti a danno dell’ambiente e della salute e, in ultima analisi, per far sopravvivere il vecchio al nuovo. La strategia energetica nazionale latita da anni e non c’è impegno assunto che sia stato rispettato con puntualità. Intanto, Confindustria chiede un’altra moratoria, questa volta sulle rinnovabili, un ennesimo stop and go perfetto per uccidere un settore in crescita. Così facendo i progetti migrano all’estero, i posti di lavoro idem.

È di questi giorni la notizia che in Qatar sorgerà un impianto per la produzione di silicio policristallino di capacità pari a circa 8.000 tonnellate l’anno. Questa notizia arriva dalle maestranze della Memc di Merano – la maggiore impresa sul territorio nazionale di produzione della materia prima per le celle fotovoltaiche – che hanno in vista il ricorso alla cassa integrazione in un periodo di boom che purtroppo non è accompagnato da una degna politica energetica e industriale da parte di questo governo. Ma attenzione! Ipotecare il futuro col passato è ciò che di peggio possiamo fare in questo momento. Carbonizzare l’economia, bloccare le nuove fonti, ritardare gli interventi sulla rete significa condannare il Paese a una crisi ancora più profonda dell’attuale.

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