Diciassette congiurati. Uno per ogni anno di berlusconismo da pugnalare e liquidare. Diciassette commensali, riuniti dall’ex ministro Claudio Scajola l’altra sera, di mercoledì, nel ristorante della Galleria Colonna di fronte a Palazzo Chigi. Una cena, stavolta, dopo il pranzo organizzato da Beppe Pisanu la scorsa settimana con una dozzina di parlamentari frondisti del Pdl. Francesco Storace, leader della Destra, ha chiosato con efficacia: “Le truppe democristiane del Pdl tornano a muoversi per far fuori B.”.

Sarebbe una nemesi tristissima e forse ingiusta per Silvio Berlusconi. La sua morte politica secondo l’antica consuetudine dei complotti dorotei a tavola, tra una pietanza e l’altra. Una tradizione della Prima Repubblica. Del resto il ligure Scajola, prima della casa acquistata a sua insaputa dalla cricca di Anemone, è stato un democristiano doroteo. Pisanu, invece, era nella sinistra scudocrociata. I due non si sono mai amati ma adesso sono uniti nelle manovre che più stanno creando turbolenze nella maggioranza. Entrambi ministri dell’Interno con il Cavaliere premier, oggi lavorano apertamente per il cosidetto post-berlusconismo. Il loro sogno è un governo di transizione o di decantazione che allontani le elezioni e prepari un nuovo quadro politico. I numeri sono appena sufficienti per far andare sotto il centrodestra nei due rami del Parlamento. In tutto una ventina tra deputati (quindici convinti) e senatori (cinque). Ma l’altra sera, al ristorante della Galleria Colonna, erano diciassette. Mancava Pisanu. In compenso era presente il senatore Franco Orsi, uno dei partecipanti al pranzo dei “dodici” di Pisanu alla “Capricciosa”, ristorante vicino a piazza di Spagna.

Davanti a Scajola, i diciassette commensali-congiurati hanno intonato il De Profundis per il premier: “È finito, dobbiamo evitare che ci trascini insieme con lui nella rovina generale”. Poi la fatidica richiesta: “Berlusconi deve fare il passo indietro”. E giù minacce di non votare la fiducia sulla legge-bavaglio delle intercettazioni, oppure di affossare l’atteso decreto sviluppo. Parole, per il momento. Che uno dei presenti riassume così, con schietta autoironia: “Il problema è che nessuno di noi va a dire a Berlusconi che deve fare il passo indietro. Andiamo a dirlo a Scajola e ci fermiamo lì”. Capito la differenza? È la sindrome da “schiocco delle dita” che ha spiegato ieri sul Corriere della Sera la finiana Giulia Bongiorno. In pratica, ancora oggi, in questo clima da fine impero e ultimi giorni di Pompei, se il Capo schiocca le dita tutti si zittiscono e obbediscono, a cominciare dal potenziale successore Angelino Alfano, democristiano doc di rito agrigentino.

In ogni caso, i parlamentari “scajoliani”, che a una cena di qualche mese fa erano addirittura sessanta, si sono dati “due settimane di tempo”. Quelle “decisive”, raccontano. In fase di elaborazione c’è un documento in cui esternare dubbi e richieste: la “piattaforma per chiedere un governo nuovo con Alfano o al limite anche un Berlusconi bis”. La prima è quella che piace tanto a Casini e Maroni. La seconda è frutto di un compromesso interno. E cioè offrire a Scajola una sponda per andare da Berlusconi ed esporre i mal di pancia “nelle forme che riterrà più opportune”. Alla cena della corrente frondista, che ufficialmente è una fondazione (la Cristoforo Colombo) secondo gli usi della Seconda Repubblica, tra gli altri c’erano: Ignazio Abrignani, Massimo Maria Berruti, Paolo Russo, Salvatore Cicu, Roberto Tortoli, il già citato Orsi, Guido Viceconte. Non c’era, però, Gregorio Fontana, che di Scajola è un fedelissimo storico. Segno, questo, che l’operazione viene giudicata da alcuni assenti come “scissionista e senza sbocchi, con l’obiettivo unico di staccare la spina al governo”.

Un salto nel buio che molti non vogliono fare. Anche perché c’è un rischio non secondario: “Se si va da Berlusconi a proporgli un governo Alfano, certo al segretario del Pdl non gli facciamo un favore”. Vere alchimie da teatrino della politica.

Davvero, quindi, il berlusconismo può morire con un complotto a cena con delitto, sconfessando il tragico epilogo del “Caimano” di Moretti, in cui i militanti berlusconiani assediano il palazzo di giustizia di Milano? La possibilità, in teoria, c’è ed è in linea con una stagione che va avanti da un anno. La stagione delle cene, appunto. Ma non “eleganti” come quelle di Berlusconi. Cene di capicorrente e di capigruppo, di ministri e triumviri, di colonnelli e peones. A inaugurarla sono stati i ministri della fondazione Liberamente, cui a fasi alterne ha partecipato Alfano non ancora segretario del partito: Frattini, Prestigiacomo, Fitto, Carfagna, Gelmini, Romani, Fazio. L’ultima, segretissima ma non tanto, è stata al ristorante dell’Hotel Majestic in via Veneto, molto in voga nel centrodestra grazie allo chef Lamantia. Di solito, però, il ritrovo prediletto di “Liberamente” è stato il ristorante “Strega”, sempre nel centro storico della Capitale. Tre i nemici dichiarati a tavola: la Lega e Tremonti, gli ex an del Pdl a partire da Gasparri e La Russa. La controffensiva di questi ultimi due, insieme con Cicchitto e Quagliariello, è stata in altre sale riservate di alberghi di lusso romani. In particolare, il Minerva e il De Russie. Una volta, poi, anche al Valadier.

Spesso si litiga a tavola, non si congiura soltanto. Capitò nell’autunno del 2010 al De Russie tra Cicchitto e La Russa. Ordine del giorno: la pace interna tra gli ex an e gli ex forzisti. Il ministro della Difesa, non invitato e avvisato da un sms, si precipitò al ristorante e urlò al capogruppo del Pdl alla Camera: “Berlusconi mi dica chiaramente che vuole farmi fuori. So che parla male di me in giro. Se le cose stanno così io me ne vado. Tra Camera e Senato posso contare su 54 parlamentari. Faccio i gruppi autonomi, come Fini”. I contesti cambiano, ma le minacce restano sempre le stesse. Fare i gruppi autonomi. Allora li agitò La Russa, oggi stessa storia con Scajola e Pisanu. Ma fuoriuscire dal berlusconismo grazie alle vongole è un po’ troppo, persino per il Cavaliere.

Da Il Fatto Quotidiano del 7 ottobre 2011

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