E se la soluzione migliore, alla fine, fosse nazionalizzare, almeno parzialmente? In questi giorni di caos sui mercati e di sfiducia crescente anche nei confronti della Francia e delle sue banche, l’argomento a Parigi non è più tabù. Tanto più questa mattina, dopo che Moody’s ha declassato due dei colossi del credito d’Oltralpe, Société Générale (da Aa2 a Aa3) e Crédit Agricole (da Aa1 a Aa2), mantenendo Bnp Paribas “sotto osservazione negativa”.

Il valore in Borsa di questi colossi del credito si sta ormai liquefacendo. “Too big to fail”, non possono crollare: si porterebbero dietro svariate controllate qui e là in Europa (vedi la nostra Bnl, proprietà di Bnp Paribas). Ebbene, la maggior parte di loro avrà bisogno di una ricapitalizzazione. Ma di questi tempi chi oserà metterci qualche soldo?

Potrebbe farlo lo Stato francese. E a quel punto ne prenderebbe il controllo o comunque pretenderebbe di imporre una certa influenza sulla gestione, in proporzione alla quota di capitale detenuta. Già nel 2008, dopo il crack di Lehman Brothers, i contribuenti francesi avevano messo mano al portafogli: un totale di 10,5 miliardi di euro di obbligazioni distribuite fra i soliti noti, soprattutto il trio Bnp Paribas, Société Générale e Crédit Agricole, che oggi si ritrova nell’occhio del ciclone. Quei fondi erano poi stati restituiti prima che lo Stato potesse approfittare dei successivi rimbalzi in Borsa dei titoli delle banche. Che avevano beneficiato di una boccata d’ossigeno in piena tempesta, mantenendo la loro piena indipendenza. Stavolta, invece, le cose potrebbero andare diversamente. E il Governo imporre una quota di partecipazione vera e propria. Badiamo bene, siamo ancora a livello di ipotesi. Giudicate “totalmente premature” dal ministro dell’Industria, Eric Besson.

Il problema è che la situazione sta precipitando. Ieri i titoli bancari a Parigi hanno finalmente guadagnato ma Société Générale resta ancora sotto di oltre il 55 per cento rispetto all’inizio dell’anno e del 28 rispetto a un mese fa. Per Bnp Paribas i cali sono stati rispettivamente del 41 e del 25 per cento e per Crédit Agricole del 46 e del 23,5 per cento. Oggi, poi, è arrivata la nuova mazzata: Moody’s ha proceduto al downgrading del rating di due dei tre colossi e messo le mani avanti sul terzo. Alle tre banche viene rinfacciata un’eccessiva esposizione nei confronti della Grecia. Se si considerano sia i titoli di Stato ellenici che i crediti concessi al sistema privato, le banche francesi risultano le più a rischio d’Europa: la loro esposizione ammonta a 92 miliardi contro i 69 di quelle tedesche e i 20 delle britanniche. Ma se la sfiducia è lievitata cosi’ tanto negli ultimi giorni è per un’altra ragione. E questa si chiama Italia. I nostri titoli di Stato totalizzano più di 1.600 miliardi di euro. E ben 550 si trovano in mani francesi contro i 120 della Germania e i 77 del Regno Unito. Non solo, le banche d’Oltralpe hanno fatto shopping nel mondo del credito italiano (fino a poco tempo fa ritenuto redditizio, grazie a una ricchezza privata elevata): chi si è impossessato di Bnl (Bnp Paribas,) chi di Cariparma (Crédit Agricole). E cosi’ via.

Insomma, se l’Italia scivolasse sul dirupo, per le banche francesi sarebbe terribile. E quindi occorre ricapitalizzare. E per questo l’intervento dello Stato sarà forse necessario. Il primo a rompere il tabù è stato Marc Fiorentino, economista apprezzato e senza particolare colore politico. “Lo Stato farebbe bene a prendere una volta per tutte questa decisione – ha sottolineato – : nazionalizzare le banche per tre o quattro anni e rimetterle in sesto, distruggendo una volta per tutte i loro stock di armi di distruzione di massa e riportarle al loro ruolo principale al finanziamento dell’economia”. Insomma, finirla con la ricerca del profitto a ogni costo rischiando in Paesi che non se lo meritano e giocando con i derivati. E recuperare la funzione più sana degli istituti di credito, i finanziamenti alle imprese e alle famiglie, possibilmente in Francia. Tanto più che, sempre secondo Fiorentino, visti i bassissimi livelli delle azioni, lo Stato potrebbe cavarsela con “appena” 25 miliardi di euro. E con questo gruzzolo prendere il controllo delle banche più importanti.

Quella che poteva apparire come una pura provocazione è stata raccolta con entusiasmo da diversi economisti e politici. Per Jean-François Copé, segretario generale dell’Ump, il partito di Nicolas Sarkozy, “non si puo’ lasciar cadere le nostre banche” e non esclude che “lo Stato entri nel loro capitale”. Per Pierre-Alain Muet, consigliere economico di Martine Aubry, uno dei candidati alle imminenti primarie socialiste per scegliere il rivale della destra alle presidenziali 2012, “se il Governo deve intervenire, lo farà ovviamente prendendo una quota del capitale delle banche”. A destra riemerge l’antica passione gollista della partecipazione pubblica. A sinistra la mai sopita ambizione di uno Stato dirigista. Intanto oggi comincia una nuova giornata in Borsa. Dopo la bocciatura di Moody’s, probabilmente di dolori.

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