Se la nomina ai vertici dell’Agenzia italiana per la sicurezza nucleare di Umberto Veronesi doveva rappresentare il primo segnale del “rinascimento nucleare italiano” (copyright Enel), ora c’è da chiedersi quale sia il significato delle sue dimissioni. Soprattutto dopo i referendum di giugno, quando 27 milioni di italiani hanno detto “no grazie” alla riapertura degli impianti atomici. “Una reazione emotiva”, aveva commentato dispiaciuto l’ex ministro della Sanità.

Fatto sta che l’Agenzia perde la sua guida. “Organismo asfittico che non ha mai preso forma”, attacca Veronesi che in un colloquio con Il Sole 24 Ore spiega i motivi delle sue dimissioni: voleva “un progetto nucleare italiano di grande respiro”, ma la storia gli ha dato torto.

Da una parte l’Agenzia non è mai decollata (non aveva nemmeno una sede né uno staff di ricercatori), dall’altra il referendum del 13 giugno ha chiarito la posizione degli elettori sull’atomo sbattendo la porta in faccia ai profeti del rinascimento nucleare, Veronesi compreso. Troppo per uno che pensava in grande e che non ha nessuna intenzione di occuparsi “nella migliore delle ipotesi, solo di scorie”.

Ciò che l’oncologo derubrica a “scorie” in realtà rappresenta il compito più importante dell’Agenzia: la creazione di un deposito permanente che possa ospitare i rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali chiuse dal referendum del 1987 e il decommissioning (chiusura e definitiva messa in sicurezza) degli stessi impianti che, in attesa del deposito, ospitano le pericolose scorie. Peccato che la sicurezza del nucleare non sia un chiodo fisso del medico. “La mortalità a Chernobyl è stata minima e a Fukushima sono morte due persone”, dichiarava pochi giorni dopo l’esito referendario rammaricandosi dell’eccessivo allarmismo degli italiani.

Oltre al decommissioning, compito dell’Agenzia è anche di coordinare gli studi italiani sull’energia nucleare. Altro obiettivo fallito, dato che è difficile pensare a un ente di ricerca senza ricercatori. “Avevo accettato solo perché confidavo in un progetto italiano di grande respiro per lo sviluppo della fisica nucleare e delle sue applicazioni nell’energia”, confida l’oncologo. Così non è stato. A un anno dalla sua fondazione, non era chiaro nemmeno in quale città dovesse avere la sua sede: se a Roma o a Genova (come voleva l’uomo forte del nucleare italiano Claudio Scajola). Per non parlare del personale. La legge istitutiva del 2009 prevedeva un centinaio di persone prelevate dall’Enea (Ente nazionale energia e ambiente) e dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), ma non si è mai visto nessuno. Gli unici “assunti” erano Veronesi e un bizzarro quartetto di commissari: Stefano Dambruoso, magistrato esperto di terrorismo internazionale, Michele Corradino, professore di diritto amministrativo e (finalmente) due esperti del settore: Maurizio Cumo e Marco Enrico Ricotti. Un po’ poco per garantire all’Italia un ruolo di primo piano nel settore delle ricerche internazionali sull’atomo.

Ora, in tempo di crisi e di taglio dei costi per lo Stato, in Commissione bilancio al Senato c’è anche un emendamento alla Manovra economica che chiede la soppressione dell’ente, con il trasferimento di tutti i suoi compiti all’Authority per l’energia. In attesa di sapere cosa decideranno i membri della commissione parlamentare, il sottosegretario allo Sviluppo economico (con delega all’Energia) Stefano Saglia assicura che l’organismo continuerà a vivere: “Più snello ma non meno importante”. Più snello di così è dura, ora che, con l’uscita di scena di Veronesi, sono rimasti in quattro.

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