L’ultima volta che è finita sui giornali fu per un divieto di tesseramento. Beppe Grillo – disse la Commissione nazionale di Garanzia del Pd – non può entrare nel partito democratico. Oggi, due anni dopo, l’organismo presieduto da Luigi Berlinguer si trova a dover scegliere, invece, se un democratico tenerlo o buttarlo fuori. Lunedì 5 settembre, Filippo Penati, verrà processato dai nove garanti del codice etico del Pd. Giovanni Bruno, Giuseppe Busina, Graziella Falconi, Adriano Giannola, Beniamino Lapadula, Andrea Manzella, Bianca Lucina Trillò e Luciano Vecchi voteranno a maggioranza come sanzionare “le ombre” calate su uno dei più importanti dirigenti del partito.

IL SEGRETARIO Pier Luigi Bersani, ieri, ha scelto Pontelagoscuro, in provincia di Ferrara per annunciare, finalmente, che al Pd “le prescrizioni non piacciono”. Ma per quanto riguarda l’ipotesi espulsione rimette tutto ai “meccanismi affidati allo Statuto e alla commissione di garanzia che è al lavoro, si farà un’opinione e ci dirà”. Al presidente Berlinguer scappa una risata quando gli si annuncia che la patata bollente è ufficialmente nelle mani sue. Sta “affinando” la richiesta di accesso agli atti del Tribunale, perché ha bisogno di avere quei documenti in fretta, perché ha “bisogno di leggerli” e spera di riuscire a farlo entro questa settimana. Ma Penati non aveva detto che era a vostra disposizione per fornirvi tutto il materiale necessario? “Tutto quello che ci manda noi lo prendiamo – dice Berlinguer – Ma non ci è ancora arrivato niente”. In realtà, l’ipotesi espulsione per lui non è “nemmeno necessaria” visto che Penati non ha più la tessera del partito. “Gli ho raccomandato di andare alla commissione provinciale perché deve formalizzare l’autosospensione”. Non lo ha ancora fatto? “Dice che ha già un appuntamento”. C’è da augurarsi che lo faccia entro il prossimo lunedì, perché per Berlinguer le “formalità” sono importanti: per esempio la rinuncia alla prescrizione, fondamentale per dimostrare “la completa estraneità ai fatti”, così come la difesa della “credibilità e onorabilità del partito” , a prescindere dalla rilevanza penale delle vicende: “Un amministratore pubblico – dice – deve essere più scrupoloso, più corretto di quello che scrive la norma, più attento a non determinare sospetti”. Non c’è giustificazione che tenga: “Non si possono commettere illeciti nemmeno nell’ interesse del partito”.

PER TUTELARE la sua “onorabilità”, il Pd ha scelto di nominare dei garanti appena nato, nel febbraio 2008. Quaranta riunioni in un anno e mezzo, poi la prima assemblea nazionale del partito (era novembre 2009) ha eletto Berlinguer e gli altri 8. Da quel giorno, i “probiviri” si sono visti 28 volte, affrontando le questioni che non si era riusciti a risolvere nelle commissioni di garanzia attive in ogni provincia e in ogni regione. Non hanno una sede vera e propria: lunedì, per discutere del caso Penati, hanno trovato una stanza libera a Sant’Andrea delle Fratte, nella “casa” nazionale del partito. Altre volte si sono visti nei vecchi uffici di via del Tritone, altre addirittura a piazza Santi Apostoli, nel vecchio quartier generale di Romano Prodi. La riunione tipo funziona così: il segretario Giampietro Sestini presenta ai commissari i vari punti all’ordine del giorno e li illustra attraverso articoli di giornale, segnalazioni arrivate via mail, raccomandate , carteggi che ripercorrono le “beghe” del territorio. Ognuno dice la sua: per i casi importanti la discussione è andata avanti anche per più di una riunione, per le minuzie si è risolta in cinque minuti. Alla fine il presidente tira le fila del dibattito e mette ai voti la proposta della commissione. Si decide a scrutinio palese (ma il voto segreto non è vietato) e affinché il parere sia valido devono essere presenti almeno cinque dei 9 componenti. Lo hanno fatto all’unanimità con Grillo vietandogli di iscriversi al partito perché “egli ispira e si riconosce in un movimento politico ostile al Pd”. Sbarrata la strada anche a Marco Pannella che nel 2007 aveva provato a candidarsi alle primarie democratiche.

L’UNICA CACCIATA per volere della commissione nazionale di garanzia, finora, è Liliana Frascà: da dirigente del Pd calabrese si è candidata alle provinciali di maggio in una lista centrista, alternativa al centrosinistra. Fu lo stesso Bersani, nell’aprile del 2010, a chiedere alla commissione di intervenire nei confronti di quattro deputati del Pd (Roberto Della Seta, Francesco Ferrante, Giuseppe Lumia e Ermete Realacci) che si erano opposti all’ipotesi di candidatura di Mirello Crisafulli a sindaco di Enna a causa dei suoi “rapporti non episodici con il boss di Cosa Nostra Raffaele Bevilacqua”. Crisafulli rinunciò alla candidatura, la commissione ne prese atto, i quattro furono ammoniti: “Insensato – dissero – che una questione squisitamente politica sia stata ridotta dal segretario Bersani a un problema formale o statutario”. Due mesi dopo, la commissione fu chiamata a pronunciarsi sull’incompatibilità tra l’iscrizione al Pd e quella alla massoneria: finì con il riconoscimento della “piena libertà di associazione per gli iscritti del Pd” e l’obbligo “a rendere note altre appartenenze”: se siete iscritti a una loggia segreta, ditecelo.

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