Spunta l’ombra della camorra nell’indagine sul crac del San Raffaele, che ha portato al suicidio di Mario Cal, braccio destro di don Luigi Verzé. Lo rivela l’Espresso, nel numero in edicola domani, in un’inchiesta firmata da Paolo Biondani e Luca Piana. Il settimanale racconta la storia della Diodoro costruzioni, che dal 2002 in poi si aggiudica i migliori appalti dell’azienda ospedaliera. Affari da milioni di euro, come la ristrutturazione della sede secondaria di Villa Turro, a Milano, poi quella dell’edificio Dibit due nella sede principale in via Olgettina, con tanto di basilica e cupola dal diametro di 43 metri, uno in più di San Pietro. E poi parcheggi, l’albergo Rafael per i parenti dei malati, il futuro San Raffele di Olbia, una speculazione a Cologno Monzese.

Insomma, la Diodoro è l’”impresa di fiducia del San Raffaele”, come si autodefinisce. Ma per lunghi anni subisce le attenzioni di Nunzio Guida, luogotenente di Michele Zaza e capo dello storico clan di camorra trapiantato a Milano, e dei suoi eredi. La storia raccontata dall’Espresso comincia il 25 gennaio del 2000, quando a Milano viene gambizzato Emilio Santomauro, consigliere comunale di An poi passato all’Udc. Santomauro è titolare al 50 per cento della Diodoro. L’altra metà è nelle mani di Pierino Zammarchi, imprenditore di origine bresciana. La polizia non individua l’attentatore, ma scopre che il politico mialnese “ha appena chiuso una burrascosa relazione con Sonia Guida, figlia di Vincenzo e nipote di Nunzio”, entrambi condannati in via definitiva per mafia.

Nunzio Guida muore da latitante in Brasile negli anni Novanta, ma nel periodo dei grandi lavori per don Verzè l’azienda di costruzioni ha a libro paga la stessa Sonia ed Enzo, fratello del boss. Questi rapporti non sfuggono alla Procura di Milano, che mette sotto inchiesta Zammarchi e Santomauro per intestazione fittizia di beni. Li accusa, in altri termini, di essere prestanome dei camorristi.

I due sono assolti con formula piena, ma al processo Zammarchi racconta trent’anni di vessazioni subite dai Guida, ai quali si era incautamente rivolto per chiedere “protezione” dopo aver subito un attentato: richieste di denaro per molte decine di migliaia di euro, ristrutturazioni gratuite, familiari regolarmente assunti che però non si presentano mai in azienda a lavorare. Quanto a Santomauro, racconta ancora Zammarchi, “era solo un mio prestanome, gli intestai le quote perché le banche non mi facevano più credito”.

Nessuna copertura a investimenti fatti con denaro sporco, conclude il Tribunale di Milano: la Diodoro è cresciuta con gli appalti milionari del San Raffaele, mentre Zammarchi è “una vittima”, un imprenditore “che ha la pessima idea di farsi prestare i soldi da un mafioso”. Passati i guai giudiziari, ricostruisce ancora l’Espresso, “Pierino Zammanchi torna a frequentare Mario Cal”, visto che tra i due c’era “un rapporto assiduo, personale”.

La vicenda raccontata dal settimanale apre ulteriori scenari. Torna in mente il patto di ferro che è sempre esistito tra don Verzé e Silvio Berlusconi. Le carte delle indagini antimafia milanesi degli anni Settanta-Ottanta, infatti, raccontano che Nunzio Guida era in continuo contatto con il gotha di Cosa nostra trapiantato nel capolouogo lombardo: i fratelli Bono, Salvatore Enea e altri personaggi della “mafia dei colletti” bianchi che gli investigatori smascherarono nel 1983 tallonando Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore.

Nel 1999 Gaetano Guida, fratello di Nunzio, mette a verbale alcune dichiarazioni che coinvolgono, tra l’altro, Marcello Dell’Utri, il braccio destro di Berlusconi condannato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa: “Già negli anni Settanta e fino a dopo il 1980″, afferma, “mio fratello Nunzio era in rapporto di amicizia e di affari con Dell’Utri Marcello. Questi sapeva benissimo che mio fratello Nunzio era mafioso ed era già in rapporti con Alfredo Bono, Pippo Calò, il catanese Santo Mazzeo e altri…”.

E ancora: “Ho partecipato a incontri tra mio fratello e Dell’Utri. Che all’epoca era già in affari con Silvio Berlusconi, persona quest’ultima pure conosciuta da mio fratello, il quale diceva che lo stesso, cioè Berlusconi, era un gran signore rispetto a Dell’Utri… come esponente mafioso, mio fratello Nunzio gestiva denari di provenienza illecita assieme a Dell’Utri”. E così via.

La Direzione investigativa antimafia non riuscì a trovare alcun riscontro alle dichiarazioni di Gaetano Guida, e tutto finì lì. Ma il giro dei soldi tra mafia e imprenditoria milanese in quegli anni è una storia che in buona parte deve ancora essere raccontata.

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