Giocatori di tutto il mondo unitevi. E portate avanti la battaglia contro quei mascalzoni dei vostri presidenti che vogliono spendere il meno possibile. E che pretendono di mettere in discussione diritti che vi appartengono da anni. Sembrerebbe uno slogan da rivoluzionari alle prese con una sfida epocale, al limite della fantascienza e della follia. Invece no, le notizie delle ultime settimane fanno pensare che sia arrivato il momento della resa dei conti tra chi indossa i calzoncini e fa sognare milioni di appassionati e chi siede sulla poltrona di comando e vorrebbe decidere il se, il quanto e il come di tutti i suoi dipendenti, giocatori compresi. Prima i cestisti dell’Nba, poi i calciatori italiani. E ora pure quelli spagnoli.

Diverse le ragioni del contendere, simili la modalità scelte per fare sentire la propria voce. Prima il lockout nell’Nba, il campionato delle stelle della pallacanestro, che rischia di saltare i primi mesi di gare perché, tra le altre cose, i cestisti non accetterebbero di vedersi ridurre l’ingaggio per venire incontro alle casse dei loro club, con l’acqua alla gola per perdite che ammonterebbero a centinaia di milioni di dollari.

Poi, è stata la volta della levata di scudi dei calciatori di casa nostra, che tramite il loro rappresentante, l’ex giallorosso Damiano Tommasi, hanno minacciato di incrociare le braccia, anzi, le gambe se la Lega di serie A non dovesse controfirmare il rinnovo del contratto collettivo, scaduto da oltre un anno. I calciatori made in Italy non vogliono denaro. Insistono su una questione di merito. Vogliono sostanzialmente che non venga impedito ai colleghi di allenarsi assieme con i compagni nel caso la società decidesse di fare a meno di loro. Si sta trattando, probabile che lo sciopero venga scongiurato per gentile concessione delle parti in causa.

L’ultima notizia arriva dalla Spagna. Stamane, l’Assocalciatori spagnola, la Afe, ha convocato una conferenza stampa per dire chiaramente che se le società della Liga e della Liga Adelante (la serie B in salsa iberica) non pagheranno ai propri tesserati i 50 milioni di euro che devono loro per stipendi arretrati, il 20 e 21 agosto, date previste per la giornata numero uno del torneo, Messi e Ronaldo e tutti gli altri big della Liga non scenderanno in campo. Dunque, sciopero, anche qui. Anzi, soprattutto qui. Perché a quanto risulta dai bene informati, in Spagna si rischia davvero.

Non tutti i calciatori sono campioni. La maggior parte di loro, nel campionato di serie B spagnola, percepisce uno stipendio che non permette di fare grandi cose. E se alla fine del mese il denaro promesso non arriva, possono essere guai. Grandi o piccoli, non è questo il punto. La questione è che quando non si rispetta un contratto occorre intervenire in qualche modo, per il bene di tutti. E’ per questo che alla conferenza stampa di oggi, oltre al capo della rivolta dei giocatori, Luis Rubiales, c’erano alcuni dei migliori talenti del campionato spagnolo, pronti a sostenere a oltranza la battaglia dei colleghi meno fortunati. Per fare gruppo e far capire che così non si può andare avanti. “La situazione non è più sostenibile – ha dichiarato Rubiales -. Non si rispettano i valori dello sport. Non si tratta di chiedere più soldi, ma solo che vengano rispettati i contratti e saldati i debiti, siano essi passati, presenti o futuri. Chiediamo parità di trattamento per tutti i giocatori in qualsiasi squadra”.

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