Datalogic, colosso industriale fondato dal bolognese Romano Volta, leader mondiale nella produzione di lettori per codici a barre, tratterà coi sindacati solo per alleviare l’impatto sociale dei 150 licenziaamenti. La linea di chiudere il suo stabilimento a Quinto di Treviso, per delocalizzare in Vietnam non viene ritirata neppure davanti alle pressioni del ministro Sacconi.

Questo in sintesi il bilancio tracciato dai sindacati (l’azienda continua a seguire il silenzio stampa) dell’incontro tenutosi al ministero delle Attività produttive (presente anche un delegato del ministero del Lavoro) tra azienda e rappresentanti dei lavoratori.

L’incontro era stato “strappato” dai dipendenti Datalogic al ministro del lavoro, il trevigiano Maurizio Sacconi, che in una nota è stato molto duro con l’azienda bolognese, definendo “incomprensibile” la scelta di chiudere. “Responsabilità sociale vorrebbe che almeno le imprese italiane multi-localizzate che godono di buona salute rinuncino a processi di delocalizzazione da costi”, ha detto il ministro, che non era direttamente presente al tavolo. Sacconi si è anche appellato alla Confindustria di Bologna e Treviso.

I sindacati sono cauti e prendono atto della posizione del Governo, espressa anche durante l’incontro. “I rappresentanti dei ministeri hanno fatto capire che, almeno per ora, all’azienda non verrà permesso di licenziare – spiega Elio Boldo, sindacalista della Fiom-Cgil di Treviso, presente all’incontro – In questo modo hanno tolto la spada di Damocle, quella dei 75 giorni previsti dalla procedura di mobilità, che pendeva sulla testa dei lavoratori”. Senza un accordo tra le parti, insomma, non si licenzia né si chiude in 2 mesi e mezzo, come fino a oggi sembrava intenzionata a fare Datalogic.

A Roma i sindacati hanno proposto anche dei sacrifici da parte dei lavoratori, se questo servirà a tenere in Italia la produzione. Ma se ciò non servirà a convincere Datalogic a restare in Veneto, le condizioni dei sindacati per raggiungere un accordo le spiega ancora Boldo: “Due anni di cassa integrazione, impegno a ricollocare, un incentivo al lavoro per chi va in mobilità e decide di andarsene”. Venerdì mattina a Treviso ci sarà un altro incontro. Se non ci saranno passi avanti, l’occupazione dello stabilimento trevigiano da parte dei dipendenti andrà avanti. Il ministero ha chiesto comunque tempi stretti altrimenti riconvocherà il tavolo.

Intanto du giorni fa, sotto una pioggia battente, 250 lavoratori, provenienti dagli stabilimenti Datalogic di Treviso, Bologna e Teramo, si erano incontrati per manifestare davanti alla sede centrale a Calderara di Reno, alle porte del capoluogo emiliano. I lavoratori dello stabilimento di Monte San Pietro, nel bolognese, sembravano i più preoccupati. Nelle orecchie avevano la frase sentita da un dirigente dell’azienda mercoledì scorso: “Neanche Bologna è un’isola felice…”. Con la politica di Datalogic ribattezzata dai lavoratori “licenziamenti preventivi” nessuno riesce a stare tranquillo. “Del resto – racconta un operaio presente a quella riunione – se hanno licenziato all’improvviso i nostri colleghi di Quinto ora che gli affari vanno a gonfie vele, figuriamoci se torna un po’ di crisi”. La paura è che Datalogic inizi una marcia verso la delocalizzazione grazie ai costi più bassi, ai mercati che si spostano in Asia e della necessità di battere la concorrenza.

A confermare queste preoccupazioni c’è anche la storia che circola tra gli operai in presidio: quella del “tagliatore di teste”. Un dirigente delle risorse umane, assunto da poco in Datalogic, famoso per essere stato addetto, già in passato e per conto di altre aziende, al “lavoro sporco” dei tagli del personale. Un personaggio simile a quello interpretato da George Clooney in un film del 2009 intitolato “Tra le nuvole”.

Al presidio bolognese, tra i lavoratori di Treviso c’erano molte donne, che oltre al camice bianco si sono portate dietro un cappello in stile vietnamita per ironizzare sul trasferimento nel sud-est asiatico. Una di loro racconta la dinamica del licenziamento. “Fino a un mese prima venivano a portarci i premi-produzione, anche di 1.000 euro. Poi, a un certo punto, abbiamo visto che smantellavano i magazzini – racconta – Loro avevano deciso di non comunicare nulla, ma noi abbiamo insistito perché abbiamo visto quegli strani movimenti. Quando i sindacalisti hanno ottenuto una riunione, dopo tre minuti sono usciti, ci hanno chiamato al centro dell’azienda e…”.

Andrea Bortoluzzi, operaio e sindacalista all’interno dello stabilimento di Quinto, chiede garanzie: “Da noi nel nord-est attualmente sono più le aziende chiuse che quelle aperte. Quindi, eventualmente, chiediamo all’azienda di avere più ammortizzatori sociali possibili per poter aver tempo di cercare altro lavoro”.

Per Datalogic, quotata in Borsa e pluri-premiata, davvero un brutto palcoscenico nazionale. Nel 2010 Datalogic è stata certificata, per il secondo anno consecutivo, dall’olandese CRF come realtà eccellente nella gestione delle Risorse Umane, entrando a far parte del circoscritto gruppo di aziende “ Top Employers Italia 2010” che si distinguono nel panorama imprenditoriale italiano come esempio eccellente nella gestione HR. Datalogic è stata riconosciuta “Top Performer” ottenendo dagli esperti del CRF Institute valutazioni elevate su tutti i cinque criteri di valutazione, raggiungendo l’eccellenza nei settori “Formazione e sviluppo” e “Condizioni di lavoro”.

II Gruppo si è cosi confermato realtà aziendale di riferimento, in grado di garantire alti standard di vivibilità e attenzione per i propri dipendenti e capace di trovare nella crescita e nella condivisione i valori chiave delIa propria cultura aziendale.

Per tutti questi motivi la decisione presa da Volta sembra ancora più sconcertante: un’azienda modello e pluripremiata chiude uno stabilimento che funziona. E lo fa senza aprire nessuno stato di crisi, dalla sera alla mattina, lasciando senza lavoro.

Volta, classe 1937, natali bolognesi, non c’è dubbio che ormai vada avanti sulla sua strada. Apprezzato da destra e sinistra, tante medaglie sulla giacca, cavaliere del lavoro, consigliere di amministrazione di  Carisbo e San Paolo Imi, oltre che presidente dell’associazione industriali bolognesi einteressi che vanno dall’elettronica all’immobiliare alla finanza (  Datalogic, ma anche Ima Industria Macchine Automatiche Spa, Hydra Spa, Aczon Srl, Max immobiliare, Hydra immobiliare Snc) in questa vicenda segue la ragione economica. E spostare parte della produzione in Vietnam è una strada sulla quale non ha nessuna intenzione di tornare indietro.

David Marceddu


Articolo Precedente

Tanzi si ostinava a fare re Calisto. E dal crac sparì 1 miliardo per le ville dei figli

next
Articolo Successivo

E’ il Pdl, ma sembra la Lega: a Ravenna documento contro l’assessore marocchina

next