E’ andato a El Paso, al confine con il Messico, per rilanciare la richiesta di una nuova legge sull’immigrazione. Barack Obama si è recato in Texas senza una proposta precisa, ma per “creare un percorso e un senso di urgenza – come hanno detto i suoi collaboratori – attorno alla sorte degli 11 milioni di immigrati senza permesso che vivono e lavorano negli Stati Uniti”. Obiettivo del presidente americano è rimettere al centro del dibattito politico la questione dell’immigrazione, ormai da tempo patrimonio quasi esclusivo dei proclami dei conservatori e del Tea Party.

Era dallo scorso dicembre che il presidente non accennava in modo così esplicito al tema. Da quando l’ostruzionismo repubblicano fece naufragare il “DREAM Act”, il progetto che avrebbe riconosciuto la cittadinanza ai ragazzi che da anni vivono e studiano, senza regolare permesso di soggiorno, negli Stati Uniti. Quel fallimento, e l’insorgere di nuove, più pressanti questioni – l’economia, l’Afghanistan, le rivolte arabe, la caccia a bin Laden – sembravano aver mandato definitivamente in soffitta i migranti e i loro problemi.

E invece Obama ci è tornato sopra, con un discorso in cui ha cercato di legare immigrazione ed economia. Per il presidente, riformare il sistema dell’immigrazione significa oggi “rafforzare la classe media, in modo che non ci sia più una vasta economia sotterranea che sfrutta il lavoro sottocosto, facendo crollare i redditi di tutti gli altri lavoratori”. E’ folle, per Obama, consentire ai figli degli illegali di frequentare le migliori università americane, e costringerli poi a lasciare il Paese: “Gli diamo un’istruzione che crea posti di lavoro per i nostri concorrenti”. Offrire ai senza permesso una possibilità di legalizzazione è un fatto di umanità: “La grande maggioranza pensa solo alle proprie famiglie”. Di più, le proposte repubblicane non hanno risolto il problema: “Hanno voluto alzare un muro al confine con il Messico. Forse ora vorranno un fossato, e lo riempiranno di coccodrilli”.

Perché Obama sia tornato sulla questione dell’immigrazione proprio ora, è facile capirlo. Negli Stati Uniti ci sono più di 50 milioni di ispanici; il 16% della popolazione. Si tratta del gruppo etnico con i maggiori tassi di crescita e di sviluppo economico. Nel 2008 gli ispanici scelsero Barack Obama e i democratici, con una percentuale di due contro uno. Nel 2012 il presidente avrà ancora bisogno del loro voto per tornare a vincere. Di qui l’appello di El Paso, la volontà ribadita di farsi carico del futuro di 11 milioni di persone che restano fantasmi per la legge americana.

Obama sa di avere buone possibilità di riconquistare quel voto. La propaganda repubblicana, soprattutto quella del Tea Party, si è scagliata negli ultimi mesi con particolare violenza contro i senza permesso, definiti un “pericolo per la sicurezza nazionale”. Il governatore repubblicano dell’Arizona Jan Brewer ha firmato una legge che autorizza arresti anche sulla base di un semplice sospetto di immigrazione illegale. E altri stati a guida repubblicana, per esempio la Georgia, stanno approvando misure simili.

Il presidente sa però che la comunità ispanica si è dimostrata negli ultimi mesi sempre più nervosa e insoddisfatta per le politiche della Casa Bianca. 400 mila persone, per la gran parte messicani, sono stati deportati dagli Stati Uniti l’anno scorso. E “Secure Communities”, un programma inaugurato da George Bush e potenziato da Obama, crea un database comune a livello federale, statale e locale, che favorisce l’identificazione e l’espulsione dei senza permesso, anche se questi non si sono resi colpevoli di nessun reato.

“Il presidente dovrà convincere gli ispanici che qualcosa cambierà, durante il suo secondo mandato”, spiega Audrey Singer, esperta di immigrazione alla Brookings Institution. Come a dire, il mondo ispanico d’America è pronto a ritirare a Obama l’appoggio offerto due anni fa.

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