Nuovo ‘venerdì della collera‘ in Siria, dove sono state organizzate in tutto il Paese manifestazioni contro il regime del presidente Bashar al Assad.

A Damasco i testimoni raccontano di camion equipaggiati con mitragliatrici e soldati in tenuta da combattimento. Gas lacrimogeni sono stati usati per disperdere i manifestanti, riuniti in protesta dopo la preghiera del venerdì. Quattro soldati sarebbero stati uccisi e altri due catturati da un gruppo di miliziani armati, secondo quanto denuncia la tv di stato siriana. Migliaia di cittadini sono in piazza anche nelle città costiere di Banias e Latakia. In quest’ultima, gli attivisti riferiscono di numerosi colpi d’arma da fuoco esplosi nel quartiere Slaebah. I manifestanti “hanno chiuso le strade con barricate per impedire alle forze di sicurezza di avanzare”, raccontano su Twitter. A Homs, fonti degli oppositori al regime hanno riferito che le forze di sicurezza hanno ucciso nove persone. Nella stessa città, ha segnalato una fonte del ministero dell’Interno siriano, tre poliziotti sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco.

A Daraa, città epicentro delle rivolte, le forze di sicurezza avrebbero sparato sulla folla provocando almeno 83 vittime, tra cui donne e bambini. Colpi d’arma da fuoco si sono sentiti anche prima delle proteste: un gesto intimidatorio, secondo gli attivisti, per convincere i cittadini a restare a casa e non unirsi ai manifestanti. Cecchini sono appostati sui tetti e le linee telefoniche in città sono ancora interrotte. Migliaia di persone dai villaggi dell’Hawran, nel sud della Siria, hanno cercato di raggiungere Daraa, tentando di rompere l’assedio imposto dalle forze di sicurezza. Anche nel nord est, nelle città di Qamishli e Amuda, sono riprese le proteste.

E si moltiplicano gli appelli ai cittadini siriani. Da un lato Abu Muhammad al-Maqdisi, leader spirituale di Abu Musab al Zarqawi, capo dell’ala irachena di al Qaeda fino alla sua uccisione, li invita alla rivolta anti-regime: necessaria per chi auspica la democrazia, “è altrettanto necessaria per chi vuole sia applicata la sharia”. Dall’altro lato, il ministero degli Interni siriano ha rivolto un appello ai cittadini a non unirsi alle manifestazioni in programma per oggi e a “contribuire alla stabilità e alla sicurezza” del Paese. Le autorità hanno deciso anche di rafforzare la chiusura verso l’esterno, dispiegando diverse unità dell’esercito lungo il confine con la Giordania, già chiuso nei giorni scorsi. Il regime è impegnato a rispondere ad “atti di violenza compiuti da gruppi religiosi estremisti”, ha dichiarato il ministro degli Esteri siriano, Walid Moallem, facendo “quanto in suo dovere per difendere i cittadini e preservare la propria sicurezza e sovranità, il che priva di qualsiasi giustificazione le voci di condanna e le richieste di portare la questione davanti agli organismi internazionali, con lo scopo di esercitare pressioni sulla Siria e compromettere la sua posizione”. Cittadini che però stanno tentando di fuggire in Turchia. Almeno 250 persone dai villaggi vicini al confine hanno tentato di varcare la frontiera, ma sono stati fermati dalle guardie di sicurezza turche.

Proseguono intanto le operazioni diplomatiche. “La mia impressione è che ci sia un ampio consenso sulla necessità di prendere delle misure”, ha dichiarato il segretario generale del servizio diplomatico esterno dell’Unione europea, Pierre Vimont. Di eventuali sanzioni alle autorità siriane si discute oggi in una riunione tra gli ambasciatori dei 27 paesi membri, nel corso della quale potrebbe essere già stilato un elenco delle personalità verso cui stabilire misure relative ai visti e al congelamento dei beni. In attesa della riunione del consiglio europeo del 23 maggio. Sempre oggi si riunisce anche il Consiglio dei diritti umani dell’Onu. Una sessione straordinaria richiesta dagli Stati Uniti e appoggiata da altri 15 dei 47 paesi membri. Scopo della riunione è pronunciarsi su una bozza di risoluzione che condanna, tra l’altro, il ricorso “alla forza letale da parte delle autorità siriane contro i manifestanti pacifici”. Favorevole a una risoluzione è anche il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini, secondo cui “il Consiglio di sicurezza dell’Onu non lo ha ancora fatto, ma credo che non si possa dare l’esempio di un doppio standard, – ha commentato – agire in un certo modo in Egitto e, magari, in Libia, e non agire affatto nei confronti della Siria”.

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