Un’onda anomala di ricercatori assunti in blocco rischia di invadere l’università nei prossimi anni. Secondo il sito d’informazione lavoce.info, è questa una delle conseguenze della riforma Gelmini. Se mai si farà. E visto che dopo un lungo periodo senza assunzioni mancherà una selezione vera e propria, il reclutamento di massa avrà conseguenze negative sulla produttività scientifica del Paese.

Uno dei punti più criticati del ddl, che sarà discusso alla Camera a partire da venerdì, con un giorno di ritardo rispetto al previsto per l’assenza del parere della commissione Bilancio, è l’abolizione per i ricercatori dei contratti a tempo indeterminato. Al loro posto saranno introdotti contratti di tre anni più tre, senza che siano assicurate le risorse per l’assunzione in ruolo dei più meritevoli. “Tra sei anni una massa eterogenea di precari in scadenza di contratto – scrive lavoce.info – busserà alla porta dello sfortunato ministro di turno e chiederà di essere regolarizzata. Per costoro il ddl prevede una soluzione, ovvero l’assunzione diretta da parte dell’ateneo che li ha impiegati, previo l’ottenimento di un’abilitazione nazionale a numero non chiuso”. I ricercatori precari si troveranno in concorrenza con quelli che hanno firmato un contratto a tempo indeterminato prima della riforma. L’abilitazione nazionale, secondo lavoce.info, si trasformerà in un’ondata di assunzioni di massa, come accadde con la riforma universitaria del 1980: dopo anni di assunzioni quasi nulle, ci fu un vero e proprio boom di ingressi di ricercatori e professori. Che, secondo uno studio de lavoce.info, sono risultati meno produttivi dei loro colleghi assunti negli anni successivi, con criteri di selezione più rigorosi.

Un blocco prolungato nelle assunzioni, come quello che si è verificato nell’ultimo periodo e che continuerà nei prossimi anni, “induce gli scienziati più produttivi ad andare all’estero o cambiare professione e genera una gran quantità di precari della ricerca, o di docenti la cui carriera è sospesa, qualitativamente molto eterogenei – spiega il sito d’informazione –. Il successivo sblocco concederà molte posizioni a tempo indeterminato anche a soggetti, rimasti in attesa, ma molto meno produttivi di chi, nel frattempo, ha abbandonato il sistema o potrebbe entrarvi successivamente”. È quello che è accaduto con la riforma del 1980. E che, secondo lavoce.info, potrebbe accadere fra sei anni, se la riforma Gelmini verrà approvata senza modifiche. “La prima preoccupazione del ministro dovrebbe essere quella di evitare il ripetersi dell’alternanza di lunghe siccità e piene improvvise nelle assunzioni”, conclude il sito d’informazione.

Secondo Alessandro Ferretti, rappresentante di Rete29Aprile, l’organizzazione di ricercatori nata per protestare contro il ddl Gelmini, con le risorse attuali è difficile pensare ad assunzioni di massa che, in ogni caso, “sarebbero deleterie per la qualità della ricerca. Il passaggio da ricercatore a professore associato, con la nuova riforma, avverrà per chiamata diretta da parte del dipartimento, senza concorso. Sulla politica di reclutamento dei dipartimenti sarà necessaria una seria valutazione a posteriori, in base a cui assegnare i fondi di ricerca, come accade negli Stati Uniti. Il ddl Gelmini prevede forme di valutazione, ma non le definisce”.

Anche Francesco Sylos Labini, ricercatore del centro Enrico Fermi di Roma e coautore del saggio I ricercatori non crescono sugli alberi, non crede che ci saranno reclutamenti in blocco: “Mancheranno i soldi – spiega – e i professori che andranno in pensione non verranno rimpiazzati. La mia impressione è che ci sia la volontà politica di arrivare a un’università sottodimensionata”. Di sottodimensionamento non vuole sentire parlare Oscar Ascenzi, membro del direttivo del Coordinamento Nazionale Ricercatori Universitari: “Senza parlare di assunzioni di massa – dice – nei prossimi anni tutti i ricercatori dovrebbero avere la possibilità di diventare professori associati, sulla base della valutazione delle attività svolte. Sarebbe il giusto riconoscimento di un ruolo che di fatto già abbiamo”.

Articolo Precedente

L’investimento in conoscenza paga

next
Articolo Successivo

Riforma dell’università, stop dal Tesoro. “Non c’è la copertura economica per i ricercatori”

next