Ero stato colto alla sprovvista. Innanzitutto per i tempi. Non mi aspettavo una reazione tanto plateale proprio al culmine della polemica sulla pubblicazione di altre migliaia di documenti contenenti ulteriori dettagli sulla fetida guerra in Afghanistan. Ma evidentemente si era diffuso il terrore che le nuove rivelazioni sarebbero state ancora più devastanti per la credibilità dell’esercito americano. E ancor più per i grovigli di servizi segreti che tramano con i pakistani, i quali a loro volta forniscono armi e assistenza ai talebani per combattere l’esercito americano (e la Nato).

E poi non riuscivo a celare il disappunto. Avevo scommesso che avrebbero accusato Assange di pedofilia, reato molto più infamante e sconvolgente per l’audience globale telelobotomizzata. In compenso la scelta del paese cadeva a fagiolo. La Svezia non ha partecipato alle guerre di Bush, proseguite stolidamente da Obama, quindi non ha apparente interesse politico al caso Wikileaks. Ed è il porto franco da cui Assange si aspettava una sorta di asilo politico che lo riparasse dagli attacchi personali e dagli assalti legali che la canea dei mestatori di professione minacciava da tempo, con latrati giornalistici pubblicati persino sul Washington Post (il giornale che affondò la Presidenza Nixon proprio grazie alla pubblicazione di documenti segreti e alle rivelazioni di Gola Profonda).

Ma il troppo zelo dei mestatori ha innescato un effetto boomerang devastante. Già sui gionali e sui siti web di tutto il mondo che avevo avuto modo di leggere fin da quando la notizia del mandato di arresto per Assange era stata diffusa, non c’era un solo commento che prendesse sul serio le dichiarazioni del Direttore delle Comunicazioni della procura svedese, tal Karin Rosander. La poverina aveva ufficialmente confermato le accuse di stupro e molestie nei confronti del fondatore di Wikileaks e quindi il mandato di arresto. Ma si trattava di una comunicazione talmente generica e dilettantesca da essere quasi commovente. Un mandato di arresto emesso senza specificare con precisione quando il reato è stato commesso e chi sono le vittime (un tabloid parlava di due donne tra i 20 e i 30 anni, che però apparentemente non avevano sporto denuncia). Come sanno tutti, queste cose non accadono neanche in Zimbabwe.

Prima che il mandato di arresto venisse revocato avevo rimuginato che in fin dei conti coincidenza sospetta e genericità delle accuse avrebbero miscelato un propellente magico per Wikileaks, creando intorno ad Assange un’aureola da martire impossibile da scalfire. Adesso, l’imbarazzata e reticente retromarcia della procura svedese sulle accuse a sfondo sessuale, innesca se possibile una deflagrazione pubblicitaria ancora più dirompente per la prossima pubblicazione dei documenti segreti. La rabbiosa impotenza dei suoi potenti nemici per Assange equivale ad un’ insperata consacrazione.

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