Crisi di governo: Renzi non molla, una batosta non gli basta

9 Dicembre 2016

Renzi si dibatte all’indomani del “Ba(to)sta un Sì”. Pensavamo che il No netto a lui e alla sua riforma permettesse di archiviarlo, invece no: resta aggrappato alla poltrona di segretario Pd, e con lui il sistema di potere che l’ha “messo lì” (Marchionne dixit). Si prende tempo, si dilaziona il trapasso, e alla parola chiara degli italiani si risponde con le solite formule: “Responsabilità”, “bene del Paese”, “stabilità”, “tavolo”.

Nel dopo referendum assistiamo a molte mistificazioni. La prima è il 40% da cui il Pd dice di voler “ripartire”, quasi fosse una vittoria. Pure Alfano se lo intesta, quando i suoi elettori (elettori? quali elettori?) di Area Popolare hanno votato in maggioranza No. Ma, com’è noto, Alfano è pura fantascienza. Pagnoncelli comunque l’ha spiegato bene al Fatto: “Quel 40% non è del premier: dentro c’è tutto, pure chi non voterà mai Pd”. Fine.

Altra mistificazione è l’alibi dei ministri del governo: scaricano le colpe su Renzi senza rendersi conto che così si scavano la fossa. “L’errore è stata la personalizzazione, gli italiani più che la riforma hanno bocciato lui e il governo”.

Appunto. Ho scritto più volte che il voto non poteva non essere – personalizzazione o meno – anche una valutazione su Renzi e il governo: essendo stato “messo lì” per fare le riforme senza essere eletto da nessuno, naturale che gli italiani avrebbero sfruttato l’occasione per dire cosa pensano di lui e dei suoi mille giorni. Lo hanno bocciato sonoramente: può essere questa una consolazione per chi ha lavorato con lui?

Terza, e più grave, mistificazione: il bilancio del governo. Quando Renzi è stato “messo lì” senza essere eletto, per fare le riforme volute da Napolitano e da tutto il cucuzzaro dei poteri forti, non navigavamo certo nell’oro, anzi la crisi già mordeva. E oggi? A parte qualche tenuissimo zero virgola in più, come sta l’Italia? Censis: cresce il disagio, è difficile curarsi, i giovani sono più poveri dei nonni; Caritas: i senzatetto sono aumentati del 21% in un anno, 4,5 milioni di italiani vivono in povertà assoluta; Istat: uno su due al Sud è a rischio povertà, la disoccupazione è drammaticamente stabile all’11,6%, contro una media Ue all’8,3%, Germania a 4,1, Regno Unito della Brexit al 4,7; debito pubblico al record del 132% del Pil, banche con 360 miliardi di euro lordi di crediti deteriorati, fatturato e ordinativi dell’industria crollati e, in compenso, 12 miliardi di tasse in più pagate dagli italiani nel 2015 rispetto al governo Monti.

E le riforme? Costituzionale bocciata dal referendum; elettorale, con ogni probabilità, dalla Consulta a fine gennaio (prima no?), e comunque incastrata con la riforma del Senato; Pubblica amministrazione bocciata sempre dalla Consulta; decreto sulle popolari sospeso dal Consiglio di Stato in attesa della sentenza sulla sua costituzionalità. Non ne ha azzeccata una. Anzi, una sì: il Jobs Act. Renzi è riuscito a togliere diritti ai lavoratori, a trasformare il mercato del lavoro in una giungla di voucher, la disoccupazione è rimasta a due cifre ma, in compenso, gli imprenditori hanno intascato un bel po’ di miliardi.

E ora gli stessi ci parlano di senso di responsabilità, bene del Paese, “ripartiamo da qui”? Gli italiani vi hanno detto No: avete sentito?

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