L’intervista - Il gioco “Pull a pig”

“Inganna il maiale”, l’ultima moda della violenza social

Un gruppo di amici sceglie la vittima, una ragazza insicura da sedurre e poi mettere alla gogna sul Web. Il caso di Irene Finotti

Di Selvaggia Lucarelli
17 Ottobre 2017

“Io non mi vergogno, metti pure il mio nome”. Mi dice così Irene Finotti, alla fine di una lunga intervista in cui mi ha raccontato il suo inferno 2.0. Irene è la prima ragazza italiana a parlare di un fenomeno molto discusso: il Pull a pig, ovvero “Inganna un maiale”. È un nuovo modo per umiliare le donne. Un modo feroce, perché sceglie le vittime più vulnerabili e col solo scopo di ferirle, dopo averle illuse di essere belle, amate, desiderate. Pull a pig funziona così: un ragazzo punta la ragazza più bruttina e grassa in un locale o sul web. Lo fa per scommessa con gli amici, per gioco, per crudeltà. La corteggia, le fa credere di essere desiderata. Quando lei ci casca, le svela la trappola, umiliandola in pubblico o privatamente.

Come raccontato il Daily Mail, è successo, per esempio, a Sophie, una ragazza inglese che quest’estate, in vacanza a Barcellona, aveva conosciuto Jesse, un ragazzo olandese. Lui l’aveva abbordata in un locale, le aveva fatto credere di essersi invaghito. Sophie, che forse non era abituata a corteggiamenti così appassionati, gli aveva creduto. Tornata in Inghilterra, poco tempo dopo aveva deciso di andarlo a trovare ad Amsterdam, incoraggiata da quei messaggini in cui lui si diceva coinvolto e innamorato. Una volta arrivata nell’hotel dove avevano appuntamento, lui le aveva scritto “You’ve been pigged!”, spiegandole che quella sera a Barcellona l’aveva scelta solo perché era la più brutta e grassa del locale. Era una scommessa.

Quando ho letto questa storia di bullismo crudele, ho pensato che Pull a pig fosse un fenomeno limitato a qualche caso sparuto fuori dai nostri confini. E invece no. Irene, 30 anni, della provincia di Rovigo, ha vissuto qualcosa di molto simile. “Un anno e mezzo fa l’amministratore di un gruppo segreto su Facebook mi ha invitata a diventare membro. Si trattava di uno dei soliti gruppi legati al giro di Pastorizia e #Acazzoduro. Mi lusingava dicendo che ero una delle poche elette, delle poche ammesse. In seguito ho pensato che facesse tutto parte di un piano, ma non lo saprò mai”.

Perché di un piano?

Perché dentro a quel gruppo c’era una ragazza, Assia, che poi ho scoperto essere famosa in questi gruppi per bullizzare le persone, in particolare modo le ragazze grasse. E io in quel periodo lo ero, tanto.

Per questo passavi molto tempo online?

Sì, non mi piacevo, mi vergognavo a uscire, cercavo compagnia virtuale. Ero molto sola. Forse per questo per C., un ragazzo di 31 anni, è stato facile conquistarmi…

Ti corteggiava online?

Sì. Mi diceva che la mia riservatezza lo attirava. Mi ripeteva cose carine, mi coccolava, mi faceva sentire desiderata, nonostante in quel gruppo Assia e altri facessero spesso battute sul mio peso che in alcune mie foto di Facebook era abbastanza evidente. Io, che pesavo 50 chili più di adesso, per due mesi sono stata intortata dalle sue moine e alla fine ho ceduto alla sua proposta di vederci.

Dove vi siete visti?

È venuto lui, da Piacenza, nel mio paese. Siamo stati tre giorni insieme, io lo vedevo solo la sera perché di giorno lavoravo. Mi veniva a prendere, andavamo a cena e stavamo insieme nell’hotel che aveva preso per stare con me.

Come sono stati quei tre giorni?

Belli. Abbiamo fatto l’amore, ovviamente. Io ero felice. Poi è ripartito e le cose sono cambiate in un attimo. Già tornando a casa mi ha scritto che tra di noi non poteva funzionare e poi è sparito, ma non potevo immaginare cosa sarebbe successo dopo.

Cosa è successo?

Io mi sono tolta da quei gruppi perché vederlo anche solo online mi faceva star male. Una mattina una mia amica mi contatta e mi dice che in quei gruppi c’era un account con una mia foto in una situazione intima. Imbarazzante. Quell’account si chiamava Irene Balenotteri.

Da dove arrivava quella foto?

Era una foto scattata da lui a me in quell’hotel mentre facevamo sesso. Poi entrando ho scoperto che di foto ce ne era un’altra. Me l’aveva scattata di nascosto mentre ero nuda di spalle, sul letto. C’erano i miei tatuaggi, i capelli blu, i miei chili di troppo, ritratti in modo impietoso.

Cosa si diceva in gruppi?

Mi deridevano, facevano dei meme con quelle foto, mi davano della cicciona, del boiler. Assia aveva pubblicato la foto di una macchina che si era schiantata su un palazzo, scriveva che ero io quando mi buttavo sul letto.

Hai contattato lui, immagino.

Lui ha negato. Poi ha ammesso che le foto ad Assia le aveva girate lui. Non saprò mai se si era creato anche dei fake per prendermi in giro, ma ho cominciato a pensare che mi avessero teso una trappola loro due. Che fosse tutto studiato.

Lui ha provato a dissuaderti?

Non mi ha chiesto scusa. Hanno continuato a deridermi. Alla fine delle conoscenze comuni mi hanno confermato che erano d’accordo, che ero una cicciona da umiliare.

E poi?

Poi sono andata alla polizia postale ma mi hanno scoraggiata. Non avevo url, alcuni gruppi erano stati chiusi, mi bullizzavano con dei fake. Mi sono sentita impotente. Volevo licenziarmi, avevo paura che il mio capo vedesse quelle foto, mi vergognavo con la mia famiglia, prendevo antidepressivi. Poi un giorno ho alzato la testa. Mi sono tolta da quei gruppi e ho deciso che avrei ricominciato da me.

In che modo?

Ho fatto un’operazione per dimagrire ad aprile, in sei mesi sono tornata quasi l’Irene di prima. Vorrei dirti che l’ho fatto per la salute, ma la verità è che anche prima di entrare nella sala operatoria pensavo: adesso non sarò più lo zimbello per nessuno.

Sei guarita?

Sto meglio, ho un fidanzato, mi piaccio, però il corpo lo puoi operare, la testa no. Ancora oggi quando metto una mia foto su Facebook ho paura di essere di nuovo derisa.

Perché hai voluto raccontare tutto?

Perché potrebbe capitare a una qualunque ragazza e io voglio aiutare quelle che vivono dei momenti simili, voglio mettere in guardia una potenziale vittima, voglio che sia lei ‘a catturare il maiale’. Perché i maiali sono loro, non noi.

 

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