L’aumento delle temperature porta al declino del manto nevoso e se una zona raggiunge una data temperatura media (meno 8 gradi) potrebbe non vedere più la neve. È ciò che emerge da uno studio di Alexander Gottlieb e Justin Mankin, entrambi ricercatori al Dartmouth College di Hanover, negli Stati Uniti. Secondo i due esperti, è essenziale documentare il tasso, l’entità e le cause della perdita di neve, per valutare il ritmo del cambiamento climatico e per gestire i diversi rischi per la sicurezza idrica derivanti dal calo del manto nevoso.

Gli studiosi mostrano come il surriscaldamento ha portato alla diminuzione del manto nevoso nel mese di marzo nel periodo 1981-2020; e le cause principali sono attribuibili all’influenza umana. La neve stagionale è considerata una sentinella per il cambiamento climatico: le calde temperature invernali possono favorire la pioggia sulla neve e aumentarne lo scioglimento, riducendo l’accumulo di acqua e ponendo rischi idrologici per le persone e gli ecosistemi.

La ricerca ha preso in considerazione circa 160 bacini fluviali e ne ha esaminato la neve rimasta a marzo di ogni anno dal 1981 al 2020: nel 20 per cento di queste aree hanno riscontrato un chiaro declino del manto nevoso, attribuito al cambiamento climatico causato dall’uomo. Inoltre hanno confermando come il cambiamento climatico ha una vasta portata, dalla scarsità d’acqua alla chiusura delle stazioni sciistiche.

“Questi cambiamenti non sono stati uniformi o lineari in tutto il mondo ma dopo che un’area raggiunge la soglia di – 8 gradi di media, le perdite di neve accelerano in modo esponenziale”, ha spiegato Justin Mankin. Poi conclude che i “risultati sottolineano che le perdite di neve causate dall’uomo e le loro conseguenze idriche sono attribuibili e accelereranno e si omogeneizzeranno con il riscaldamento a breve termine, ponendo rischi per le risorse idriche in assenza di una sostanziale mitigazione del clima”.

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Documenti | Lo studio su Nature

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