Gli effetti della Brexit iniziano a farsi sentire nei portafogli del Regno Unito. Dopo il rally di fine 2016, oggi l’economia di Sua Maestà è il fanalino di coda del G7 e dell’Unione Europea, con l’inflazione che torna a mordere, l’austerity che spacca governo e Paese e un indebitamento privato che sta superando i livelli di guardia. Intanto crescono i discount e i lavoratori non britannici iniziano a guardare altrove, progettando la personale uscita dalla Gran Bretagna, nell’attesa che diventi effettiva quella della propria nazione di elezione dall’Unione Europea.

Secondo quanto riportato dall’ultimo bollettino dell’Office for National Statistics, l’agenzia governativa britannica di statistica, quella del Regno Unito è al momento la peggiore tra le maggiori economie del mondo. Durante il primo trimestre del 2017 Londra ha infatti registrato una crescita del pil dello 0,2%, il dato più basso tra i Paesi europei e del G7, meno degli Usa e del Giappone che, secondo le stime Ocse, hanno chiuso il periodo gennaio-marzo con una crescita dello 0,3 per cento. Sugli scudi il Canada, con un incremento del pil dello 0,9%, mentre nello stesso periodo Germania, Francia e Italia sono cresciute rispettivamente dello 0,6%, 0,5% e 0,4 per cento. Unione Europea (EU28) ed Eurozona hanno chiuso invece il primo trimestre entrambe con una crescita dello 0,6 per cento. Un vero e proprio testacoda rispetto all’ultimo trimestre del 2016, quando il Regno Unito aveva fatto registrare una crescita dello 0,6%, la più alta tra le nazioni del G7. “La vivace crescita economica di fine 2016 ha tutti gli indizi per essere stata guidata da un’insostenibile frenesia consumistica”, aveva dichiarato Samuel Tombs, capo economista Uk di Pantheon Macroeconomics, lo scorso gennaio al Financial Times. Fino all’inizio del 2017 l’economia britannica aveva offerto risultati migliori di ogni ottimistica previsione dopo il referendum sull’uscita dall’Unione Europea. Tuttavia la debolezza della sterlina negli ultimi mesi ha dato impulso all’inflazione e le famiglie britanniche hanno iniziato ad accusare il colpo, provocando un deciso rallentamento delle performance economiche del Regno.

Per il reddito disponibile il maggior declino dal 2011. Proteste contro l’austerity – Il reddito disponibile delle famiglie, secondo i dati dell’Ons, nel primo trimestre del 2017 è stato inferiore del 2% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Il maggior declino annuale dall’ultimo trimestre del 2011, quando le famiglie avevano perso il 3% del reddito disponibile a seguito dei problemi dell’Eurozona e di una crescita dei prezzi al consumo che superava il 5 per cento. Anche in questo caso l’inflazione sta avendo un ruolo determinante, passata dallo 0,3% di inizio 2016 al 2,9% dello scorso maggio, riflettendo l’indebolimento della sterlina del 15% dal referendum in poi. La compressione dei redditi delle famiglie va avanti da tre trimestri consecutivi, la peggiore performance dagli anni ’70, e si attende un aggravamento della situazione a seguito dei possibili tagli alla spesa pubblica e a nuove tasse, praticamente annullando ogni impatto positivo dell’ultimo adeguamento del salario minimo lo scorso ottobre. La proposta di fissare un tetto massimo dell’1% all’aumento dei salari per i dipendenti pubblici ha spaccato il governo e migliaia di persone hanno manifestato nei giorni scorsi nel centro di Londra contro l’austerità.

Il carrello della spesa diventa sempre più caro. E gli inglesi si indebitano – Tra aprile 2016 e aprile 2017 il credito al consumo è cresciuto del 10,3%, e nel mese di maggio, secondo i dati della Bank of England, i britannici hanno preso a prestito 300 milioni di sterline più delle previsioni, per un ammontare complessivo di 1,732 miliardi. Ben oltre le stime di 1,4 miliardi, e degli 1,438 miliardi di sterline di aprile. Queste cifre comprendono carte di credito, prestiti personali, auto a rate. Ma se l’industria automobilistica ha registrato un calo del 4,4% a maggio rispetto al mese precedente e la Society of Motor Manufacturers and Traders ha annunciato per il terzo mese consecutivo un calo nella registrazione di nuove auto, i supermercati hanno registrato un’accelerazione del 5% nei tre mesi precedenti al 18 giugno, secondo il Grocery Market Share della società di ricerche di mercato Kantar Worldpanel.

L’aumento dei prezzi dei beni al consumo, secondo Fraser McKevitt, head of retail and consumer insight di Kantar Worldpanel, potrà provocare una spesa extra di 133 sterline all’anno nel carrello degli inglesi. Pari, in media, a sette visite al supermercato. Intanto le insegne sorridono. Tesco ha registrato il maggior incremento da aprile 2012, con una crescita delle vendite del 3,5%, Morrisons del 3,7%, Sainsbury’s del 3,1% e Asda del 2,2 per cento. Bene anche Waitrose che ha segnato i migliori risultati dal marzo 2012, ma a trainare il comparto sono senza dubbio le due formule di distribuzione discount, cioè Lidl e Aldi. Nel secondo trimestre hanno registrato una crescita rispettivamente del 18,8 e 18,7%, continuando a guadagnare quote di mercato, oggi al 5 e al 6,9 per cento.

I raccoglitori stagionali se ne vanno. Rischio aumenti del 50% per le fragole – All’interno del panorama dei rincari sta nascendo un caso politico attorno alle fragole, il cui prezzo potrebbe lievitare anche del 50 per cento: un disastroso effetto della Brexit secondo la British Summer Fruit, associazione di categoria dell’industria dei frutti di bosco. Il 95% dei 29mila raccoglitori di fragole stagionali proviene da Paesi dell’Unione Europea, con una grande maggioranza di bulgari e rumeni. Il settore vale oggi 1,2 miliardi di sterline, con una crescita negli ultimi 20 anni del 131 per cento. Dopo mesi di appelli caduti nel vuoto, oggi l’organizzazione denuncia una grande difficoltà nel reclutamento di manodopera, una situazione inedita per il comparto. Il crollo della sterlina ha infatti provocato una consistente perdita del potere d’acquisto dei salari dei lavoratori Ue, esacerbando tra di loro la percezione di un sentimento anti-immigrazione da parte della terra d’Albione. E una ricerca di Deloitte su 2.242 lavoratori non britannici in Uk conferma questa percezione: il 33% trova oggi il Regno Unito meno attrattivo e molti sono pronti a sbarcare verso altri lidi. Secondo la società di consulenza sarà un problema per l’economia britannica. Ulteriormente inasprito dalle resistenze (maggiori rispetto a quanto avviene in altri Paesi Ue) rispetto all’ipotesi di adottare nuove tecnologie e soluzioni automatizzate.

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