Erano costretti a partire da San Vito dei Normanni e Carovigno prima che il sole sorgesse per raggiungere i campi vicino a Polignano a Mare, nel Barese. E lavoravano sino a tardi, rientrando quando ormai era buio. A volte anche a mezzanotte. Eppure il contratto era di 6 ore e mezza. Invece rimanevano nelle campagne almeno per 10 ore e mezza di permanenza e fino a 21 ore lontano da casa.

È la fotografia dello sfruttamento nei confronti di una quarantina di braccianti – in buona parte donne ma anche uomini, italiani e stranieri – scattata da una nuova operazione contro il caporalato conclusa dalla Procura di Brindisi. Tre le persone arrestate su disposizione della gip Paola Liaci, otto in tutto gli indagati tra i quali il titolare dell’azienda agricola, ‘incastrato’ dalla nuova legge sul caporalato.

La ‘capa’ sarebbe stata una donna, Anna Maria Iaia, finita in carcere con l’accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Per un episodio, è accusata anche di truffa all’Inps per aver gonfiato il numero delle giornate lavorative. Ai domiciliari sono sua madre, Anna Errico, e Giuseppe Bello, che guidava il furgone a bordo del quale i braccianti venivano accompagnati nelle campagne. Un ‘servizio’ per il quale Iaia tratteneva 10 euro dallo stipendio di ogni passeggero. Così a fronte di 131 euro lordi al giorno, la paga era di 59.

L’indagine, affidata ai carabinieri di San Vito dei Normanni, è partita grazie alle denunce di due donne e un uomo, spinti a presentarsi in caserma nel gennaio scorso dalle novità sulla normativa riguardante il caporalato, appresa dai mezzi di informazione, come ha spiegato il procuratore reggente di Brindisi Raffaele Casto. Lo scenario raccontato dai tre e confermato – sostiene la pm Valeria Farina Valaori – dalle indagini compiute anche con intercettazioni telefoniche e ambientali, è assai simile a quello tratteggiato da un’altra inchiesta chiusa lunedì dalla procura di Brindisi con 4 arresti: sfruttamento e povertà assoluta, insulti alle donne, prevaricazioni e minacce.

Per molti, scrive il gip, il lavoro “costituiva l’unica fonte di reddito familiare, con coniugi invalidi o sottoposti a limitazione della libertà personale, nuclei familiari numerosi o con bambini in età scolastica, plurime esposizioni debitorie”. “Ci facevano lavorare a oltranza” e minacciavano il licenziamento in tronco, spiegano le braccianti. Una delle persone che ha denunciato sostiene che “le donne più lente venivano rimproverate da Bello a volte con aggettivi offensivi: ‘Zoccola, puttana fai veloce che stasera è tardi sennò facciamo notte'”.

I braccianti che hanno alzato la testa raccontano che “durante le operazioni di raccolta non ci facevano fermare neanche per fumare” ed erano “costretti a lavorare senza soste spuntino o pranzo”.  In dodici hanno riferito ai carabinieri che ogni mese ricevevano l’assegno dello stipendio, la busta paga e “un bigliettino manoscritto su cui era annotata la somma da restituire in nero” ai presunti caporali. In un caso, tra l’altro, avrebbero truccato il numero delle giornate lavorate per truffare l’Inps: “Tu non sai neanche quante giornate hai fatto. Non sai un cazzo. Quando avrai la disoccupazione mi devi baciare! Mi devi dare un bacio in fronte – dice Iaia a un’operaia – Hai fatto 159 giorni… Quest’anno glielo abbiamo messo tutto nel culo”.

 

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