Tutti vogliono il voto. Ma al momento manca il parere fondamentale: quello del capo dello Stato, Sergio Mattarella. E difficilmente arriverà prima che la Corte costituzionale depositi le motivazioni della sentenza emessa oggi. In ogni caso, una fase nuova si è aperta già subito dopo che la Consulta si è pronunciata, “aggiustando” l’Italicum in senso costituzionale: via il ballottaggio, sopravvive invece il premio di maggioranza per la forza politica che raggiunge il 40% cento. Una sentenza che ha prodotto  una legge elettorale di “immediata applicazione”, hanno sottolineato i giudici costituzionali. Due parole magiche che i partiti hanno tradotto essenzialmente con: al voto subito. Ed è un’alleanza inedita quella che si è formata per chiedere elezioni anticipate: negli attimi successivi alla pronuncia chiamano le urne il Movimento Cinque Stelle, la Lega Nord, Fratelli d’Italia e soprattutto il Pd che così insiste sulla linea renziana. Lo stesso Matteo Renzi, secondo quanto racconta l’Ansa, è molto “soddisfatto” per la pronuncia della Corte che, ha spiegato ai suoi, conferma l’impianto dell’Italicum togliendo solo il ballottaggio. “Basta melina, il Pd è per il Mattarellum, i partiti dicano subito se vogliono il confronto. Altrimenti la strada è il voto” è la linea che l’ex premier ha indicato.

Il Pd: “Legge omogenea”. Nodo urne al Colle 
A confermarlo è il capogruppo democratico alla Camera Ettore Rosato, che ripropone a tutti i partiti l’ipotesi del Mattarellum e in alternativa andare al voto con l’Italicum “spogliato” del ballottaggio per Montecitorio e l’ex Porcellum, già demolito a suo tempo dalla Consulta, per il Senato. Secondo Rosato le due leggi sono “armonizzate” perché sono “proporzionali omogenee”. E il vicesegretario Lorenzo Guerini ribadisce che la legge “è tendenzialmente omogenea e immediatamente applicabile“.  Rosato e Guerini usano lo stesso aggettivo – “omogenea” – utilizzato dal presidente della Repubblica Mattarella sia nella fase di consultazioni per la formazione del governo di Paolo Gentiloni sia nel discorso di Capodanno. Il capo dello Stato aveva spiegato infatti che per andare a votare servivano due leggi omogenee in modo da non avere maggioranze diverse alla Camera e al Senato.

Quirinale non commenta in attesa delle motivazioni
In realtà, però, le cose non sono per niente definite come le vedono Rosato e Guerini. Intanto perché a frenare non ci sono solo Forza Italia e Ncd, ma anche la sinistra del Pd con Pierluigi Bersani, Roberto Speranza e Gianni Cuperlo che chiedono un po’ più di un tagliando alla legge appena uscita dalla Consulta. Ma soprattutto non si sa ancora come la pensa il capo dello Stato sulla legge venuta fuori dalla Consulta: è omogenea al Consultellum in vigore al Senato, visto che entrambi i sistemi sono ora puramente proporzionali? Ed è possibile utilizzarle entrambe per andare al voto, nonostante a Palazzo Madama il premio di maggioranza scatti su base regionale, mentre a Montecitorio sia a livello nazionale? Una tema che a questo punto richiederà un ulteriore approfondimento quando saranno rese note le motivazioni che hanno portato la Corte costituzionale alla sentenza di oggi. Tra 30 giorni, infatti, dalla Consulta potrebbe arrivare anche un giudizio sulla questione dell’omogeneità dei due sistemi di voto, entrambi ridisegnati dalle pronunce dei giudici. Almeno fino ad allora dal Quirinale non trapelerabno reazioni e commenti.

M5s: “Applicare la legge al Senato e al voto”. Grillo: “Obiettivo 40 per cento”
Intanto però sul voto immediato sono già d’accordo M5s, Lega e Fdi. La proposta dei Cinquestelle ha una sfumatura, che è la linea tenuta nell’ultimo mese: applicare quello che definiscono Legalicum (cioè il sistema appena uscito dalla Consulta) anche al Senato. “Ci vuole una legge di poche righe e i voti dei parlamentari” scrive Beppe Grillo sul blog che già lancia la sfida dell’obiettivo del 40 per cento “per poter governare”. “Ci presenteremo agli elettori – sottolinea – come sempre senza fare alleanze con nessuno. L’alternativa sono gli stessi partiti che hanno distrutto l’Italia”.

Salvini: “Votare il 23 aprile”
Il segretario della Lega Nord Matteo Salvini, invece, si mette già avanti col lavoro e propone il 23 aprile come possibile data per le elezioni lanciando l’hashtag #votosubito: “Non ci sono più scuse: parola agli italiani!”. D’accordo anche la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni: “Ora che abbiamo anche una legge elettorale non ci sono più scuse: sabato 28 gennaio tutti in piazza a Roma per chiedere elezioni subito”. 

Fi e Ncd frenano a secco: “Leggi disomogenee”
C’è però chi non è convinto che si debba fare così in fretta e si tratta dei partiti che meno hanno interesse a ripresentarsi agli elettori. Uno è il Nuovo Centrodestra che galleggia sempre sulla linea di sopravvivenza della soglia di sbarramento. L’altra è Forza Italia che vuole aspettare un po’ per riarmarsi dopo il periodo difficile degli ultimi due anni e un po’ per aspettare la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sull’incandidabilità di Silvio Berlusconi. Sia per Ncd che per Forza Italia, quindi le due leggi elettorali sono disomogenee. “La totale difformità tra il sistema elettorale della Camera dei deputati e quello del Senato – scrivono in una nota i parlamentari azzurri – necessita un deciso intervento parlamentare per armonizzare i due sistemi di voto”. Gli alfaniani sottolineano invece che “alla Camera non è prevista la coalizione ma c’è il premio di maggioranza, al Senato, all’inverso, è prevista la coalizione e non il premio di maggioranza”. Per questo secondo i parlamentari Ncd “bisogna operare in tale senso in tempi rapidi”.

Speranza: “Il Parlamento deve lavorare”. Bersani: “Camere si esprimano”
Ma Fi e Ncd non sono soli. A rilevare la necessità di un lavoro in Parlamento è anche Roberto Speranza, leader di Sinistra Riformista (una delle correnti di minoranza del Pd) e candidato alla segreteria al prossimo congresso. Speranza si dimise da capogruppo proprio in polemica sull’Italicum: adesso usa parole che non fanno intendere troppa velocità nel ritorno alle urne. “Ora – dice Speranza – il Parlamento deve lavorare, nei tempi necessari, per un sistema elettorale che rispetti i due principi di un equilibrio corretto tra rappresentanza e governabilità” e non avere “mai più un Parlamento di nominati”. Tra i vari aspetti su cui bisogna lavorare, secondo Speranza, ci sono i capilista bloccati, non bocciati dalla Consulta, fatto che “lascia molto aperta la questione“. Un’idea ribadita dall’ex segretario Pierluigi Bersani secondo il quale “a prescindere dalla sentenza, il Parlamento si deve esprimere. Abbiamo avuto una legge votata con la fiducia, ora c’è la Consulta: e il Parlamento che fa? Una valutazione dovrà farla o no? Altrimenti andiamo tutti a casa”. Ma a questo giro Speranza e Bersani trovano con sé anche Gianni Cuperlo, che prima del referendum aveva deciso di collaborare con i renziani sulla legge elettorale. “L’impianto che esce dalla sentenza – dice Cuperlo – non sottrae alle forze politiche il dovere di varare una legge equilibrata, saggia, condivisa. Si apra quindi da subito il confronto nelle commissioni competenti”.

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