E’ un esodo silenzioso: decine e decine di piloti Alitalia fanno le valigie e salutano Fiumicino, diposti a spostarsi in mezzo mondo per lavorare. La migrazione è in pieno svolgimento e il fatto sorprendente è che non si tratta di un fenomeno spontaneo. E’ tutto organizzato minuziosamente e, fatto ancor più sorprendente, l’organizzatore è il padrone dell’azienda italiana dei voli: gli arabi di Etihad, la compagnia dell’emiro di Abu Dhabi. Sono loro a regolare e a pianificare il job posting, cioè le uscite dei piloti che vengono invitati a salire sugli aerei della stessa Etihad e delle altre compagnie aeree controllate, come la Air Seychelles o l’indiana Jet Airways.

Arrivati due anni fa a Fiumicino con 358 milioni di euro per mettere le mani sul 49 per cento del capitale, gli arabi promisero una rapida ripresa e un avvenire scintillante. Per ora non si sono visti né l’una né l’altro: l’Alitalia va malissimo e perde quanto perdeva prima che Etihad arrivasse, 500mila euro al giorno secondo le ammissioni degli stessi vertici aziendali, almeno il doppio secondo voci sempre più insistenti. In vista ci sono altri tagli, da un minimo di 600 a 2.000 persone, e la faccenda riguarda anche i piloti, dal momento che si parla di messa a terra di almeno una decina di aerei. Di fronte al nuovo disastro nei giorni scorsi è stata addirittura affacciata l’ipotesi di un intervento pubblico di salvataggio.

I nuovi capi australiani inviati da Abu Dhabi, l’amministratore Cramer Ball e il supervisore James Hogan, hanno negato per mesi la realtà dei fatti e solo da poco hanno cominciato ad ammettere che le difficoltà ci sono e sono serie. Imputandole, però, a un contesto internazionale complessivo sfavorevole oltre che alle promesse mancate del governo: la crisi economica generale, l’incubo del terrorismo che frenerebbe la voglia di volare. I capi australiani escludono tassativamente che a zavorrare per l’ennesima volta Alitalia possano esserci scelte di gestione e strategiche sbagliate. Come il non aver capito subito che per guadagnare sarebbe stato necessario virare sul lungo raggio senza intestardirsi sul medio e corto come è stato fatto. La campagna acquisti di piloti della compagnia italiana a vantaggio delle altre compagnie del gruppo emiratino dimostra che per Alitalia la cura imposta dagli arabi non ha funzionato. E ciò è successo proprio mentre nel resto del mondo le società aeree, compresa Etihad con i suoi satelliti, si stanno espandendo per approfittare della ripresa in atto.

L’operazione trasferimento dei piloti Alitalia è in pieno svolgimento. Il vice presidente delle operazioni volo di Fiumicino, il comandante Paolo La Cava, ha inviato mail ai piloti per offrire posti di lavoro per Etihad ad Abu Dhabi e a Mumbai per Jet Airways: nel primo caso gli interessati hanno tempo fino al 15 dicembre per aderire, nel secondo caso le risposte sono attese entro il 18. Etihad al momento ha una flotta di 115 aerei passeggeri, 12 per il cargo, ha ordinato 141 nuovi jet e ne ha opzionati altri 57. Quindi ha bisogno di piloti e con disinvoltura pesca in Alitalia: 60 si sono trasferiti da Fiumicino nell’Emirato già un paio d’anni fa, ma stando alle informazioni provenienti da qualificati ambienti Alitalia, ora la compagnia araba ne cerca altri 300. La mail inviata dall’ufficio operazione voli dice che “Etihad Airways, in previsione del piano di espansione della propria flotta narrow e wide body, ricerca un numero consistente di comandanti primi ufficiali e istruttori per l’attività di linea e per le posizioni manageriali nella propria Direzione operazioni volo”. E’ possibile che a Fiumicino molti piloti siano disposti a trasferirsi nell’Emirato: sempre secondo le stesse fonti interne, le richieste di adesione sarebbero già una novantina.

Anche l’indiana Jet Airways, che con un ordine di 85 jet ha in pratica avviato il raddoppio della flotta oggi composta da 102 aerei, ha aperto lo shopping a Fiumicino alla “ricerca di un considerevole numero di comandanti per l’attività di linea con base di servizio Mumbai”. L’offerta è indirizzata sia ai piloti e istruttori di Boeing 777 sia di Airbus 330. Per i primi è previsto un contratto di tre anni, per i secondi di uno. Le condizioni prospettate sono allettanti: 13mila dollari al mese, 6 settimane di lavoro e 2 di riposo, 150 dollari aggiuntivi per ogni ora volata oltre le 80 mensili. Il 15 e 16 dicembre, inoltre, nei locali di Alitalia si svolgeranno “incontri informativi riservati ai piloti” interessati sia al programma Jet Airways sia a quello Etihad per “approfondire gli aspetti fiscali, assicurativi e previdenziali”.

La migrazione in corso si somma a quelle dei mesi passati. Una cinquantina di piloti Alitalia ha già aderito da tempo all’offerta di Air Seychelles, altra compagnia del gruppo Etihad. E poi ci sono le uscite alla spicciolata di piloti che in ordine sparso scelgono altre aziende dei voli ritenute più solide e sicure. Come Air China, compagnia che approfittando della crisi dell’azienda dei voli italiana vorrebbe mettere le mani su un pezzo del mercato nazionale con l’apertura a Fiumicino di una base per i suoi aerei. In vista di questo obiettivo i cinesi stanno cercando di convincere i piloti Alitalia a cambiare casacca offrendo contratti da nababbi: 250mila dollari l’anno più benefits. Anche Norwegian Air è della partita. La compagnia norvegese è cresciuta a ritmi impressionanti sul lungo raggio negli ultimi tre anni e ha provato a stabilire anche a Fiumicino 8 aerei. Di fronte al no delle autorità italiane non ha affatto abbandonato l’idea di inserirsi nel mercato tricolore e ha piazzato i suoi aerei di lungo raggio a Parigi, Amsterdam e Barcellona. Avendo bisogno di nuovo personale Air Norwegian sfrutta la debolezza Alitalia offrendo ai piloti italiani da un ventennio fermi nella progressione di carriera un corso della durata di 6 mesi, al termine del quale c’è il salto di stipendio con la promozione a comandanti.

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