Ruspe su Gomorra. E’ la speranza per spazzare via clan e degrado. Delle quattro Vele, rimaste, di Scampia, ispirate alle architetture di Kenzo Tange, diventate il simbolo della vergogna e del degrado italiano, ne resterà in piedi solo una: la ‘B’ conosciuta come la ‘Vela Celeste’.  Si volta pagina, forse. C’è la delibera a firma del sindaco di Napoli e il ‘piano per le periferie’ contenuto nel decreto del governo Renzi.

Costruite negli anni Settanta, quei sette palazzoni a forma di vela, alte fino a 45 metri e composte da 14 piani con corridoi passanti, scale a spuntatore e ascensori eternamente bloccati, non hanno mai preso il largo e navigato in un mare sicuro. Nei mesi successivi al sisma del 23 novembre 1980, in quelle case furono alloggiati i terremotati. Chi aveva perso l’abitazione ma soprattutto chi una casa non l’aveva mai avuta, trovò rifugio a Scampia, un nuovo quartiere alla periferia Nord di Napoli, stretto tra Secondigliano e Miano. Oltre mille famiglie di variegate estrazioni sociali furono ‘imprigionate’ nelle Vele ancora incomplete, staccate dal resto della città e prive dei servizi minimi: dai trasporti, ai luoghi della socialità. Ancora ora orientarsi all’ombra di quel mostro urbanistico è un risiko, un labirinto. E’ un pezzo di città senza identità e anima nonostante vi dimori tanta gente perbene e l’esistenza di una forte rete fatta di volontariato, associazionismo, insegnati e parroci.

Il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga fu il primo a puntare lo sguardo su quell’ammasso di cemento, all’uscita della caffetteria ‘Gambrinus’, nel corso di una visita ufficiale in città, fu fermato da un dipendente del Comune di Napoli, Vittorio Passeggio, che manifestò  al Capo dello Stato, le sofferenze, il disagio, lo sgomento di chi viveva in quelle abitazioni. Fu Cossiga – quello scritto con la ‘K’ – a bloccare la sua scorta. Prese sotto il braccio quell’omino tarchiato, vagamente somigliante a un messicano e aprire un dialogo. Voleva capire, ascoltare e rendersi conto. Vittorio Passeggio, l’Uomo con il Megafono, fondatore e animatore dello storico ‘Comitato delle Vele’ insieme ad altri compagni di viaggio come Omero Bonfenati e Lorenzo Liparulo riuscì, per la prima volta, a portare alla ribalta nazionale l’inesplorato pianeta Scampia. Il Presidente della Repubblica, dopo qualche mese, a sorpresa, si recò alle Vele, fu il Quirinale a far stanziare soldi per il completamento delle opere edilizie e approntare un piano di riqualificazione.

Siamo sul finire degli anni Ottanta. Buone intenzioni che si sono intrecciate con la sciatteria e ruberie delle amministrazioni comunali e regionali. Cose da Prima Repubblica. E sullo sfondo l’idea di un camorrista emergente Paolo Di Lauro detto Ciruzzo ‘o milionario di trasformare Scampia in un fortino dello spaccio, un discount internazionale per lo stoccaggio all’ingrosso e la vendita al dettaglio di ogni tipo di stupefacente. Un quartiere modificato urbanisticamente ai voleri e alle esigenze dei clan. Cunicoli, blindature, cancelli, porte a fessura per vedere le dosi di droga, manufatti abusivi per ostacolare e bloccare la corsa delle volanti e delle gazzelle dei carabinieri. Un esercito di elettricisti, muratori, fabbri sempre a disposizione per rispondere colpo su colpo ai blitz.

Lo smercio nelle piazze di spaccio è h24. Pali, vedette, specchiettisti, una filiera impiegatizia nell’industria sicura dello spaccio targato made in Scampia. Fissi lo sguardo e pensi: com’è stato possibile tutto questo?. E li vedevi scendere o salire sull’autobus ‘180’ ribattezzato il pullman dei tossici. Una lunga via crucis:  via Fratelli Cervi, via Bakù, via Ghisleri, viale della Resistenza, via Labriola, via Galimberti, via Zuccarini. Giovani ricurvi in cerca della dose quotidiana e molti ‘usati’ dagli stessi spacciatori del clan come cavie, i visitors, per testare il giusto taglio della ‘pallina’. Come toccò nel 1997, al sindaco del ‘rinascimento’ Antonio Bassolino, il compito di buttare giù tre edifici ora è la volta del sindaco della ‘rivoluzione’, Luigi de Magistris, chiudere la partita. Napoli ha bisogno di rotture e discontinuità. Non c’è più tempo. Occorre fare presto, Scampia deve rinascere dalle sue macerie.

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