La politica è l’arte del compromesso e il potere si mantiene cambiando bandiera prima che giri il vento. Una serie di eventi, in gran parte concretizzatisi questa settimana, sembrano confermare questa massima che molti definirebbero politically incorrect.

Il primo è la creazione dell’asse Ankara, Mosca, Damasco, l’embrione di una nuova alleanza che presto si allargherà anche a Teheran. La nuova amicizia tra Putin ed Erdogan, considerati dall’opinione pubblica mondiale due bulli che aspirano alla corona di dittatori dell’era moderna, ha preso molti in contropiede. Fino a poche settimane fa, infatti, tra i due correva cattivo sangue. Ma è anche vero che prima dell’incidente aereo avvenuto lungo il confine Turco Siriano tra i caccia russi e le forse turche, Putin ed Erdogan erano grandi amici, al punto che il secondo è stato l’unico leader non asiatico a partecipare a Mosca alle celebrazioni per l’anniversario della fine della seconda guerra mondiale. La Merkel è andata il giorno dopo per rispettare il boicottaggio dei colleghi europei nei confronti di Putin.

Ma c’è dell’altro. Dopo il “tentato” colpo di stato in Turchia tra Erdogan e Obama corre cattivo sangue. I rapporti tra le due nazioni della Nato sono ai minimi storici degli ultimi trent’anni. Ecco un secondo motivo che giustifica il ravvicinamento di Ankara a Mosca. Infine e soprattutto c’è la questione kurda, una spina nel fianco della Turchia che Erdogan ha intenzione si estrarre una volta per tutte.

Sulla questione kurda è bene aprire una parentesi: negli ultimi due anni gli americani hanno potenziato militarmente e anche finanziariamente il gruppo kurdo siriano legato al Pkk – organizzazione armata ancora nelle liste terroriste del dipartimento di Stato. Si tratta del Pyd, il partito dell’unione democratica, che mira a emulare la strategia politica dell’Isis, e cioè pretendere di combattere una guerra per procura per chi lo finanzia, i.e. la coalizione di Obama, mentre in realtà conduce una guerra di conquista territoriale di una regione abbastanza grande ed autosufficiente per poter dichiarare l’indipendenza politica. La zona in questione è il nord della Siria confinante con la Turchia dove la maggior parte della popolazione è di origine kurda. Una volta creato il primo stato kurdo questo diventerebbe il trampolino di lancio per una espansione territoriale in Turchia, Iraq, Iran, ovunque si trovi la popolazione kurda.

Fino a qualche mese fa questa strategia non era chiara. Il Pyd, si pensava, faceva parte della nebula di gruppi armati disposti a combattere contro il regime di Assad, contro l’Isis o contro entrambi per una paga discreta. I primi ad accorgersi che i piani a lungo periodo erano diversi sono stati i russi, con i quali il Pyd aveva mantenuto ottimi rapporti impegnandosi a non attaccare le truppe di Assad. Alcune testimonianze da me raccolte tra i rifugiati del nord della Siria confermano che gruppi di militanti nel Pyd cooperavano con i servizi segreti di Assad vessando la popolazione.

E’ sullo sfondo di questo complesso scenario geopolitico che nasce l’asse Ankara-Mosca-Damasco ed è sempre questo scenario che giustifica l’ipotesi dell’adesione di Teheran in un futuro molto prossimo. Quali le gravissime conseguenze?

Per visualizzarle bisogna spostarsi nel centro Italia e rivisitare la distruzione del terremoto. Più di 270 morti a 48 ore dalla tragedia. Ebbene in Siria e in Iraq questo tipo di catastrofe è all’ordine del giorno. La distruzione dei bombardamenti e della guerra è identica a quella del terremoto, case che crollano, civili che rimangono intrappolati sotto le macerie, cadaveri che si decompongono tra i detriti, e la corsa folle dei soccorritori mentre arrivano altre scosse o altre bombe.

Come nel terremoto, chi perde la casa in Siria ed Iraq sotto le bombe e sopravvive deve trovare un posto dove poter vivere. I profughi finiscono nelle tendopoli, poi nei campi profughi e chi ha soldi parte per l’Europa nella speranza di  trovare non solo una casa ma un lavoro e ricostruirsi una vita futura. Il destino delle vittime del terremoto non è poi cosi’ diverso: dalle tendopoli si finisce nei prefabbricati e da li parte l’emigrazione perché le città non vengono ricostruite e la vita dove ci sono le macerie non ricomincia più. L’Italia ne sa qualcosa dal terremoto dell’Irpinia fino a quello dell’Aquila. Solo nel Friuli, al nord, si è ricostruita un’intera regione.

Come evitare che il medio oriente continui a essere teatro di queste catastrofi? Che il nuovo asse che dal medio oriente arriva fino al centro Asia diventi il nuovo motore del conflitto in Siria e in Iraq, che si formi un nuovo fronte non più contro l’Isis ma contro le forze kurde e che questo conflitto trascini gli Stati Uniti e le forze della grande coalizione di Obama in un confronto diretto con l’asse? Si badi bene, se ciò avvenisse la Siria e l’Iraq sarebbero vittime del terremoto della guerra giornalmente e l’Europa sarebbe costretta a gestire un flusso di profughi sempre più disperati.

La risposta ce la fornisce un altro evento storico: la firma del trattato di pace tra l’organizzazione armata colombiana Farc e il governo di Bogotà. Dopo decenni di lotte sanguinose dove sono perite centinaia di migliaia di persone, le Farc e il governo colombiano sono arrivati a un accordo che vede le prime entrare gradualmente nell’arena politica abbandonando il fucile. Un percorso già sperimentato dall’Ira nell’Irlanda del Nord. Se qualcuno dieci anni fa avesse suggerito questo scenario in Colombia sarebbe stato attaccato violentemente da tutti, se invece fosse stato ascoltato quante vite si sarebbero risparmiate?

La storia ci insegna che il terrorismo si sconfigge soltanto con l’arma diplomatica e politica, assoldare bande armate per combatterne altre non ha mai funzionato. In Siria e in Iraq gli Stati Uniti e i loro alleati stanno creando un nuovo mostro, che ha il potere di destabilizzare altre nazioni per crearne una nuova usando la guerra, proprio come ha fatto l’Isis. Meglio porre fine al conflitto e negoziare un cessate il fuoco con le forze presenti ed evitare la destabilizzazione del sud della Turchia e dell’est dell’Iran, senza parlare delle conseguenze per l’area mediterranea del potenziamento della presenza militare russa in Siria. Washington e Bruxelles farebbero bene a gettare un’occhiata alle loro bandire, se lo facessero si accorgerebbero che il vento è già girato a loro sfavore.

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