di Matteo Maria Galizzi e George Loewenstein * (Fonte: lavoce.info)

La soda tax di Cameron

David Cameron ha annunciato l’introduzione di una soda tax nel Regno Unito. Dall’aprile 2018, sarà applicata un’accisa di 24 pence o di 18 pence su tutte le bibite contenenti, rispettivamente, più di 8 grammi di zucchero per ogni 100 millilitri o 5 grammi di zucchero per ogni 100 millilitri.

La tassa sulle bibite zuccherate dovrebbe essere un esempio di nudge, di spinta gentile a cambiare “il comportamento in una direzione prevedibile senza limitare l’insieme delle scelte o alterare significativamente gli incentivi economici”, come scrivono Richard Thaler e Cass Sunstein. Non a caso è stato lo stesso Cameron a creare la cosiddetta nudge unit nel governo britannico. Ma la tassa sulle bibite non è certo una “spinta gentile”, una nudge sarebbe per esempio proporre bibite senza zucchero come opzione di base nei menu dei fast food.

Tasse e comportamenti

Anche se la tassa sulle bibite zuccherate è uno strumento fiscale tradizionale, può essere comunque giustificata con argomenti tipici dell’economia comportamentale.

La teoria economica tradizionale riconosce il beneficio delle tasse in presenza di esternalità, cioè costi che causiamo agli altri senza pagarne le conseguenze. Un esempio è la “carbon tax’”, che fa pagare a chi inquina costi ambientali altrimenti ignorati. Usando la stessa logica, una tassa sulle bibite può essere giustificata sulla base dei costi sanitari imposti alla società da chi ne beve molte: si stima che per il sistema sanitario nazionale britannico siano intorno ai 27 miliardi di sterline all’anno.

La motivazione comportamentale per la tassa sulle bibite zuccherate – più controversa – è che il loro consumo produce anche internalità, ovvero costi che imponiamo a noi stessi ma che non riusciamo a cogliere, ad esempio perché siamo troppo orientati al presente, mentre le conseguenze di una cattiva dieta si manifestano nel futuro.

Vari esperimenti hanno dimostrato che la semplice informazione sul numero delle calorie non ha nessun impatto. E non lo hanno neanche approcci più creativi, come dire quanti minuti dovremmo correre per bruciare le calorie ingerite. Se neanche quando abbiamo tutte le informazioni siamo capaci di incorporarle nelle nostre scelte, la tassa può avere un’ulteriore giustificazione. Tuttavia, anche in questo caso, ci sono diverse obiezioni.

Innanzitutto, la tassa sulle bibite è regressiva perché a consumare sproporzionatamente più bibite sono le famiglie più povere. Si aggiungerebbe quindi un’altra tassa sui vizi tipici delle famiglie più povere: bere, fumare, scommettere. Quando molti benefici fiscali favoriscono i redditi più alti, è difficile giustificare una tassa proprio su chi è meno capace di pagarla. Gli effetti potrebbero essere meno regressivi se la tassa avesse un impatto in termini di salute maggiore proprio sulle famiglie più svantaggiate. Tuttavia è irrealistico pensare che la tassa possa risolvere radicalmente l’attuale emergenza obesità nel Regno Unito.

La seconda obiezione infatti è che i prezzi delle bibite non sono che la punta dell’iceberg di una più generale distorsione dei prezzi. Non solo le bibite, ma tutte le altre forme di cibo spazzatura sono diventate progressivamente più economiche degli alimenti sani negli ultimi decenni, un fenomeno ritenuto una causa dell’emergenza obesità. Inoltre, il fatto che abbiamo tutti sempre meno tempo ha aumentato la disponibilità dei cibi pre-preparati o da asporto. Considerando che supermercati e fast food applicano prezzi che fanno apparire come affari le bibite giganti o i contorni iper-calorici, il cibo spazzatura rappresenta ormai una continua tentazione, difficile da resistere, soprattutto per le famiglie più svantaggiate che hanno budget ristretti, poco tempo per cucinare e vivono in aree dove non è facile trovare cibo sano. Perché allora prendersela solo con le bibite?

Una risposta è che bisogna partire dall’obiettivo politicamente più facile, e le bibite non hanno nessun importante contenuto nutritivo. Ma per avere qualche possibilità di migliorare la qualità della dieta, si dovrebbe pensare a una tassa generalizzata su tutti i cibi ad alto contenuto di zuccheri e grassi e di scarso valore nutritivo. Se si tassano solo le bibite, c’è il rischio che i consumatori reagiscano consumando altri cibi spazzatura esenti dalla tassa.

Per minimizzare gli effetti indesiderati e regressivi, riallineare sistematicamente i prezzi e produrre cambiamenti stabili nel tempo, una tassa generalizzata sul cibo spazzatura dovrebbe essere accompagnata da sussidi ai cibi sani, regolamentazione delle porzioni giganti e cambiamenti nel contesto decisionale in supermercati e fast food.

Le “spinte gentili” possono sicuramente aiutare, ma anche gli strumenti economici tradizionali hanno un ruolo importante e possono essere giustificati proprio dalle stesse motivazioni comportamentali.

* Matteo M. Galizzi è Assistant Professor of Behavioural Science e ESRC Future Research Leader a London School of Economics. Economista sperimentale e comportamentale, conduce esperimenti tra il ‘lab’ e il ‘field’ nell’area delle politiche sanitarie e sociali. Laureato all’Università di Pavia, ha conseguito un MSc in Econometrics e un PhD in Economics presso l’Università di York (UK)

George Loewenstein è Herbert A. Simon University Professor of Economics and Psychology a Carnegie Mellon University. Ha ricevuto il PhD a Yale University nel 1985 e da allora ha avuto posizioni accademiche a University of Chicago e Carnegie Mellon University, e fellowships presso il Center for Advanced Study in the Behavioral Sciences, l’Institute for Advanced Study a Princeton, la Russell Sage Foundation, l’Institute for Advanced Study (Wissenschaftskolleg) a Berlino, e la London School of Economics. La sua ricerca si concentra sulle applicazioni della psicologia all’economia, e i suoi specifici interessi di ricerca includono le decisioni inter-temporali, le negoziazioni e contrattazioni, la psicologia della salute, l’economia del diritto, la psicologia dell’adattamento, il ruolo delle emozioni nelle decisioni, la psicologia della curiosità, i conflitti di interesse, e i comportamenti ‘fuori controllo’ come i crimini impulsivi e le dipendenze. È uno dei fondatori dell’economia comportamentale e della neuroeconomia

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