“Soldati come profughi”, non si può proprio scrivere. Non perché il paragone evochi uno strisciante razzismo, ma, al contrario, perché la frase mette alla berlina il buon nome delle Forze armate.

Almeno secondo lo Stato maggiore dell’Esercito che, dopo un’inchiesta interna, ha (per il momento) punito tre militari rei di avere pubblicato su Facebook le foto dell‘accampamento devastato dal maltempo il 14 maggio 2015 dove era di stanza parte della truppa dispiegata a protezione di Expo.

A farne le spese due alpini, il sergente maggiore DB e il caporale maggiore FM, e un paracadutista della Folgore, il capo scelto GI, sanzionati complessivamente con 11 giornate di consegna, con relativa decurtazione dello stipendio, per “scarso senso di responsabilità e inosservanza dei regolamenti in materia di trattazione pubblica di argomenti inerenti al servizio”.

Ilfattoquotidiano.it ha potuto leggere le carte dell’indagine sull’alpino FM accusato di “condotta contraria ai principi dell’etica e della disciplina militare” che, nonostante non fosse a Expo causa convalescenza, si è preso la pena più severa: sette giorni di consegna di rigore, per essersi posto “in contrasto con i principi etici che costituiscono i fondamenti dell’identità militare quali la disciplina, l’integrità morale e lo spirito di Corpo”. Quali? Il non aver avuto “alcun timore di pubblicare sul proprio profilo Facebook molteplici foto delle tende allagate commentando ampiamente le immagini”.

La vicenda risale a maggio 2015, quando circa 2400 militari (1800 per l’evento più seicento per l’operazione “Strade sicure”) vengono inviati per proteggere il sito dell’Esposizione universale. Tra loro 250 alpini dell’Ottavo reggimento di Cividale del Friuli (Udine) vengono alloggiati nella tendopoli di Bellinzago Novarese, a un’ora e mezza di distanza da Rho, in condizioni tutt’altro che agevoli. Il malumore dei soldati è palpabile se non altro perché quella che sarà la loro casa per i prossimi sei mesi diventa un forno di giorno (già a maggio le temperature sotto le tende sforano i 40 gradi) e un frigorifero di notte.

Le rimostranze di alcuni di loro finiscono in un articolo pubblicato da Libero il 7 maggio dal titolo “Immigrati in caserma, soldati in tenda” che si lancia in un improbabile paragone su come il trattamento riservato ai richiedenti asilo sia migliore di quello pensato per i militari di vigilanza ad Expo. Ma il pezzo, quando descrive le cattive condizioni del campo, è dettagliato e non passa inosservato ai vertici delle Forze armate che si attivano per capire chi abbia passato le informazioni al giornale.

Peccato che una settimana dopo ci si mette pure il maltempo ad aggravare la situazione e la base di Bellinzago viene letteralmente spazzata via da un violento nubifragio. Così i militari, compresi i loro effetti personali, finiscono sotto un misto di acqua e fango e l’accampamento disastrato comincia sì ad assomigliare alla “giungla” di Calais in Francia o, per fare un paragone più recente, al campo profughi di Idomeni al confine greco-macedone. 

I nervi saltano e alcuni soldati, al grido di “trattati peggio dei clandestini” (ut Libero docet), decidono di pubblicare le foto della devastazione su Facebook. Le immagini, rilanciate dai principali siti di informazione, fanno il giro della Rete e provocano la prevedibile ondata di indignazione generale con tanto di prese di posizione durissime e interrogazioni parlamentari.

Per di più l’episodio induce Leonardo Bitti, avvocato noto per le denunce sulle situazioni lavorative dei militari, ad avviare un’azione legale contro l’Esercito per ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla truppa. “Bellinzago è un’area di addestramento per i carri armati – racconta a ilfattoquotidiano.it – e la terra è talmente schiacciata che basta una goccia d’acqua per allagarsi”.

Otto mesi dopo quei fatti di risarcimenti neanche l’ombra così come nessuna sanzione è stata comminata ai responsabili dell’accampamento finito sott’acqua. Al contrario dei presunti responsabili della fuga di notizie.

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