“Uomini, donne, merci, beni, servizi, denari circolano liberamente in Europa. Unica eccezione, quella dei poliziotti e dei magistrati nell’esercizio delle loro funzioni”. Gian Carlo Caselli commenta le stragi di Bruxelles dal suo punto di vista di magistrato – ora in pensione – che ha indagato sul terrorismo e ha fatto parte di Eurojust, l’ufficio di cooperazione giudiziaria dell’Unione europea. E spiega che per contrastare “i macellai che colpiscono i civili in modo indiscriminato” la strada è quella di potenziare al massimo la cooperazione investigativa e giudiziaria tra Stati membri. “Si può anche inziare con un’unica struttura specializzata in terrorismo – afferma l’ex procuratore capo di Torino – ma è chiaro che l’orizzonte deve essere una Procura europea”. Chiesta oggi anche dal ministro della Giustizia Andrea Orlando. Del resto ragiona Caselli, “il crimine organizzato, si tratti di terrorismo mafia o quant’altro, vive e opera pienamente inserito nel ventunesimo secolo perché sfrutta tutti gli spazi che la modernità offre. Sul fronte della giustizia, invece, siamo ancora al diciottesimo secolo. Nel senso che le frontiere nazionali restano una barriera che frena, complica a volte inceppa le indagini”.

Con gli strumenti disponibili oggi che cosa è possibile fare per coordinare la lotta al terrorismo?
Alcuni primi passi su coordinamento e norme antiterrorismo comuni sono stati fatti. Rispetto ai fenomeni e ai delitti che coinvolgono più stati, come le tragedie di Bruxelles e Parigi, è possibile creare squadre investigative comuni (previste da una decisione quadro del Consiglio d’Europa del 2002 e ratificate in Italia soltanto il mese scorso, ndr) formate da poliziotti, magistrati ed eventualmente rappresentanti di Eurojust di ogni stato interessato. La novità importante è che le prove ovunque raccolte valgono in qualunque Paese il processo venga poi celebrato. Mi pare che la squadra franco-belga messa in campo dopo gli attentati di Parigi si muova nella direzione giusta.

Terrorismo e mafia operano nel 21° secolo. Sul fronte della giustizia, invece, siamo ancora al 18°
Dopo le stragi di stamattina a Bruxelles c’è chi chiede l’istituzione di una Procura europea. Nel suo ultimo libro, “Nient’altro che la verità” (Piemme), sottolinea che il coordinamento tra le diverse procure interessate dagli omicidi delle Brigate rosse, realizzato all’epoca in modo spontaneo al di là dall’ordinamento, fu determinante per sconfiggere il terrorismo.
La gravità e la frequenza di questi attentati – Papa Francesco ha parlato di ‘schegge di una terza guerra mondiale’ – rischia di rendere insufficiente il semplice cooordinamento tra Stati membri. Ci vuole un’integrazione sul piano legislativo, delle magistrature, delle polizie. La procura europea è un passo necessario, dato che Eurojust si limita appunto al coordinamento dell’attività giudiziaria.

Le differenze sono molte ed evidenti, ma vede qualche punto di contatto tra il terrorismo italiano degli anni Settanta-Ottanta e quello attuale di matrice jihadista, soprattutto dal punto di vista del contrasto?
Rispetto ad attacchi come quello di oggi a Bruxelles non parlerei di terroristi, estremisti, fanatici, ma brutalmente di macellai, anche se con strategie operative ben precise. La parola mi sembra adeguata alla spietatezza degli attentati. Il terrorismo brigatista era diverso, selettivo, non colpiva nel mucchio. Nel nostro Paese la macelleria che colpiva nel mucchio era di matrice fascista, quella delle stragi, da Piazza Fontana alla stazione di Bologna. I responsabili erano pochi e ben protetti dagli apparati.

Per attacchi come quello di Bruxelles non parlerei di terroristi, estremisti, fanatici, ma brutalmente di macellai
Lei sottolinea sempre come il terrorismo di allora sia stato sconfitto anche politicamente e culturalmente, prima che con la repressione, perché i brigatisti furono isolati anche a sinistra. Vede paralleli possibili con il terrorismo di oggi? 
In una grande città sono infinite le possibilità di mimetizzazione di terroristi disposti a trasformarsi in macellai. E crescono se il milieu, l’acqua in cui nuotano, è caratterizzato da compiacimenti, connivenze, contiguità, alleanze. Questo può avvenire per mille ragioni storiche, etniche, religiose, di mancata integrazione. Il solo contatto che vedo con la storia italiana è il favore di cui le Br del primo periodo hanno goduto grazie a teorie folli come i ‘compagni che sbagliano’, ‘né con lo Stato né con le Br’. Tanta benzina nei loro motori. Il milieu di cui abbiamo detto può svolgere oggi un ruolo simile. Ho l’impressione però che si limiti a dire ‘compagni’, senza aggiungere ‘che sbagliano’.

Dunque che cosa suggerisce per combattere questo terrorismo? Sarebbe utile una collaborazione con le comunità musulmane in Italia?
Soluzioni in tasca non ne ha nessuno. L’esperienza con le Brigate rosse insegna che decisivo è stato l’isolamento politico del terrorismo. Con Br e Pl ci sono voluti circa cinque anni, spartiacque sono stati gli omicidi del sindacalista Guido Rossa e di Aldo Moro. Si spazzarono via le ambiguità, le sciocchezze propagandate da tanti cattivi maestri, noti e sconosciuti, che fomentavano la violenza anche se per sé preferivano l'”armiamoci e partite”. Il fatto che Salah sia stato arrestato lì da dove era venuto, tra le proteste della popolazione locale, la dice lunga. Questo rende difficile la strategia dell’isolamento politico. Dunque è fondamentale il contributo e la collaborazione con il mondo islamico e i suoi intellettuali. Le parole di chi appartiene alla stessa cultura e tradizione di fondo possono fare più presa.

Salah è stato arrestato lì da dove era venuto, tra le proteste della popolazione locale
Spesso la politica opta invece per il muro contro muro.
Un pericolo incombente che rende il contrasto ancora più impervio è che si scateni la caccia al diverso. Anche se nato come francese o belga, ma in una famiglia di origini arabe. La caccia al diverso è un problema. La sicurezza è necessaria, dobbiamo prepararci a restrizioni per averne un po’ di più, ma non deve diventare una specie di altare su cui sacrificare tutti il resto, i diritti. Senza diritti non c’è giustizia, senza giustizia non c’è pace. Dall’ingiustizia nascono violenza, rabbia, fino alla macelleria. In ogni caso, la cooperazione internazionale non è facile se sullo sfondo c’è una confusione così grave. Putin, Assad, Erdogan, Arabia Saudita.. sono i nostri alleati per esportare la democrazia? Non sono soggetti propriamente democraci. E l’Arabia Saudita, addirittura, fornisce armi e soldi agli estremisti.
Dalla sua ultima esperienza come procuratore capo a Torino, come valuta il rischio terrorismo in Italia?
Di certezze non se ne possono avere. Una relativa sicurezza la offrono la nostra intelligence, la polizia, la magistratura. Perché funzionano bene in base a specializzazione delle competenze e centralizzazione delle informazioni.
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