Attualità

Il nuovo calvinismo: pelati si diventa. Sempre

Divertissement della settimana: "Siamo sempre lì, bravi, dotati, di talento, potenti, superpotenti, entrati nella storia, e pelati. Questo è il vero destino dell'uomo"

Divertissement di Michele Monina

Chi mai voterebbe un premier miliardario, puttaniere, che dice le barzellette e col parrucchino: da giorni, sui social, gira un meme dedicato a Donald Trump che recita questa frase. Un chiaro riferimento a un altro premier con le medesime caratteristiche, Silvio Berlusconi. Grasse risate. Che sottolineano, però, una verità incontrovertibile: puoi anche essere uno degli uomini più ricchi del paese, o addirittura del mondo, avere successo, essere circondato da donne, arrivare a ricoprire ruoli di potere assoluto, ma i capelli, alla fine dei conti, li perdi come tutti gli altri. Al massimo, se sei ricchissimo e con qualche problema a livello di immagine, puoi provare a metterci una pezza con un parrucchino, ma il risultato sarà semplicemente più imbarazzante. Perché gli uomini, in genere, a una certa età perdono i capelli. Mettono su pure la pancetta, è vero, ma su quella si può lavorare: sulla calvizie incipiente, prima, e definitiva, poi, non ci si può far nulla. Esistono delle evidenti eccezioni alla regola, e chi scrive queste righe ne è esempio acclarato, ma a un certo punto, fatevene una ragione, si diventa calvi.

Così succede che, a scorrere un ipotetico album di figurine di vip che comprenda uomini di potere, sportivi, attori e cantanti, i pelati sono lì, magari sotto mentite spoglie, ma lì. Perché, diciamolo apertamente, Bruce Willis, che con la sua pelata ha sicuramente contribuito non solo a sdoganare i calvi ma anche mettere fine a quegli orribili riporti, meglio noti come “ripoti alla Schifani”, che per anni hanno imperversato nell’immaginario collettivo, si è rasato a boccia perché stava perdendo i capelli con la stessa velocità con cui Civati perde consensi. E come lui, a quel punto, tanti altri. Perché se un tempo Yul Brinner era considerato un caso anomalo, al pari di un Tenente Kojac (Telly Savallas è il nome dell’attore che impersonava il detective), oggi vedere in giro uomini, anche giovani, rasati a zero è piuttosto comune. Nulla a che vedere con i naziskin, per altro: la testa rasata, anzi, magari corredata da pizzetto e baffi, è diventata ad esempio un segno distintivo della comunità gay.

Non rientrano però nel novero di quanti indossano il look “rasato a zero” come segno distintivo tanti nomi illustri, che col tempo hanno iniziato invece a indossare stempiature sempre più evidenti, con tagli di capelli che li hanno fatti assomigliare prima a Diabolik e poi al Commissario Basettoni di Topolino, per poi finire lì, nel pozzo oscuro dei nuovi pelati. Qualche nome? Non sarebbe necessario, ma visto che insistete, cosa vogliamo dire di un Principe William d’Inghilterra? Pensate che quei pochi ciuffi lì a coprire il cranio siano una scelta estetica? Una volontà di dimostrarsi umano, lui col sangue blu a scorrere nelle vene, figlio di Lady D e del Principe di Galles? No, state tranquilli: di semplice caso di calvo precoce si tratta, con buona pace degli Winsdor. E Rob Lowe? Anche lui in qualche modo ammantato di regalità, non per natali, ma per quell’aura di fascino sempiterno che ne segna il passaggio in qualsiasi film, anche lui si aggira per Londra con la testa decisamente poco coperta da capelli, a meno che non si voglia intendere la sua stempiatura una riga molto spessa e centrale.

E gli esempi si possono serenamente spostare anche sui nostri lidi, eh, andando a toccare cantanti come calciatori. Qualche nome? Vogliamo parlare di Tiziano Ferro? O di Cesare Cremonini? Cioè, non è che TZN, come ama firmarsi, manco fosse nel palazzo dell’Intendenza di Finanza, porta ora questa pettinatura per somigliare ulteriormente a Gigi D’Alessio, tanto per buttare nel mazzo un altro asso pelato. Cesare, invece, ci prova. Ci prova davvero. Porta il ciuffo ribelle. Ma sotto il ciuffo, sembra inizi a comparire una regione pianeggiante, senza vegetazione, antartica. Se tanto ci da tanto presto toccherà pure a Mengoni che si sta incamminando, almeno artisticamente, verso la loro carriera. Chi è già arrivato, da tempo, su quei lidi è Max Pezzali, ma lui è sportivo e ha optato per il rasoio. E il cappellino. Come J-Ax, che di più ci ha messo il tatuaggione (ma sempre pelato rimane). Vasco Rossi lo vogliamo tirare in ballo? Beh, ma lui ha sessant’anni e passa, dirà qualcuno. È vero, ma da anni, almeno una ventina, ha coperto la pelata col cappellino, salvo poi mostrarsi, recentemente, orgogliosamente calvo. Bravo. È più rock la pelata che il cappello, Komandante, fidati. L’elenco potrebbe essere lungo parecchio. Come non citare Carlo Diabolik Conti, che ormai ha l’attaccatura dei capelli all’altezza del coppino? Vogliamo parlare di attori? C’è l’imbarazzo della scelta: da Luca Zingaretti, che ha reso calvo il camilleriano Montalbano, a Claudio Bisio, per stare in casa nostra, da Jack Nicholson a Antony Hopkins, veri mostri sacri della recitazione e ancora Nicholas Cage, che ancora prova a metterci una pezza senza successo o Vin Diesel, ultimamente mostratosi anche con una “bonza” degna del protagonista di un libro di Irvine Welsh (altro bel pelato).

Vogliamo finire nel calcio, che il calcio mette sempre d’accordo tutti? Beh, che dire di Conte e di quella cosa che porta in testa? E Gervinho? Vogliamo dirlo una volta per tutte che, a discapito delle treccine afro, di calvo totale si tratta? Meglio, allora, un Gianluca Vialli, un Andrè Agassi, passato dalla lunga criniera alla pelata, o uno Zidane, che non ha mai mascherato l’evidenza. Anzi, da pelato le testate gli venivano anche meglio: chiedete a Materazzi.

Insomma, è un mondo di calvi, non ce n’è, e lo è sempre stato. Non vogliamo citare Mussolini? Ok, perché invece Lenin era un capellone. O Gorbaciov. O Miterrand. Insomma, siamo sempre lì, bravi, dotati, di talento, potenti, superpotenti, entrati nella storia, e pelati. Questo è il vero destino dell’uomo. Perdere i capelli.  Marvin Gaye, un altro che aveva una attaccatura di capelli sospetti cui, però, la vita e un padre armato di pistola hanno impedito di diventare calvo tout-court, ha clamorosamente sbagliato quando cantava “Lì dove lascio il cappello, quella è la mia casa”. Avesse detto “capello” invece che “cappello”, avrebbe scritto un inno internazionale capace di superare barriere linguistiche e geografiche. Pensateci.

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