Il ministro del Esteri Paolo Gentiloni già mercoledì aveva espresso la necessita di un’inchiesta congiunta sulla morte di Giulio Regeni, il ricercatore dell’Università di Cambridge scomparso la sera del 25 gennaio al Cairo e ritrovato morto nella periferia della capitale. Ma tra gli analisti politici, nonostante si mostri una certa cautela, serpeggia il timore che arrivare a una verità sarà difficile. I fattori che remano contro il raggiungimento della verità ufficiale, dalla dinamica della sparizione di Regeni alla sua morte sono molteplici. Regeni viveva nel quartiere di Behoos a pochi chilometri di distanza da piazza Tahrir e la sua scomparsa è avvenuta mentre si spostava verso il centro. Come sia potuto arrivare nella periferia della capitale, nel quartiere del 6 ottobre, resta un mistero.

Non ci sono prove che questa vicenda sia legata al clima politico di repressione, ma negli ultimi due mesi i casi di sparizioni di attivisti e dissidenti del regime hanno segnato dei numeri mai visti prima. Il gruppo indipendente ECFR (Egyptian Commission for Rights and Freedoms) lo scorso dicembre parlava di 340 casi di sparizione forzata negli ultimi due mesi, una media giornaliera di tre casi al giorno. Human Rights Watch, inoltre ha definito il regime di Abdel Fattah Al Sisi, l’ex capo delle forze armate che nel 2013 depose il presidente islamista Mohammed Morsi e poi divenne presidente l’anno successivo, il più repressivo che l’Egitto abbia mai visto.

Altro fattore è la tendenza del governo egiziano a negare qualsiasi avvenimento che possa mettere in difficoltà la credibilità dell’Egitto all’opinione pubblica straniera. Se il caso di Regeni fosse legato a un coinvolgimento delle forze di sicurezza o dell’intelligence del Cairo, anche se al momento non ci sono prove per dimostrarlo, il governo egiziano potrebbe non ammetterlo mai. Lo dimostrano altri avvenimenti. Il più recente è quello legato alla tragedia dell’aereo russo precipitato in Sinai agli inizi di novembre. Le inchieste portate avanti da alcuni paesi europei e dalla Russia confermano l’ipotesi di una bomba. Ipotesi che coincide con la rivendicazione arrivata dalla Wylat al Sinai, il gruppo jihadista che nel 2014 ha giurato fedeltà allo Stato Islamico. Gli unici a negare questa versione restano le autorità del Cairo.

Nell’autunno 2013 un cittadino francese venne arrestato nel ricco e centrale quartiere di Zamalek perché circolava in stato di ebrezza durante il coprifuoco imposto dalle autorità dopo lo sgombero del sit- in di Rabaa Al Adaweya. Anche qui non si è mai giunti alla verità. La versione iniziale delle autorità egiziane parlava di una morte causata dai suoi compagni di cella, ma in realtà il presunto coinvolgimento delle autorità egiziane non è mai stato accertato.

Ora in ballo ci sono i rapporti diplomatici e commerciali tra Roma e il Cairo. Per il presidente Al Sisi l’Italia è un importante alleato politico e economico, essendo il primo partner commerciale dell’Egitto in Europa ed il terzo a livello mondiale (dopo Cina e Usa). Secondo i dati riportati dalla Farnesina, la maggior parte delle esportazioni egiziane riguardano il petrolio mentre per le esportazioni italiane sono in prevalenza rappresentati da “componente macchinari e beni strumentali”.

In base ai dati dell’Istat, nel 2014 l’interscambio tra i due paesi è ammontato a 5.180 milioni di euro (+9,9%). Le esportazioni italiane verso l’Egitto si sono attestate a 2.784 milioni di euro, mentre le importazioni italiane dall’Egitto sono state di 2.369 milioni di euro. Il saldo, positivo per l’Italia, solo lo scorso anno è stato di 388 milioni di euro. Ieri la visita al Cairo del ministro per la cooperazione Federica Guidi è stata sospesa dopo la notizia del rinvenimento del corpo. La Guidi poco prima del ritrovamento di Regeni aveva incontrato il presidente Sisi rimarcando le ottime relazioni economiche con il paese e l’intenzione di espandere gli investimenti.

Ammettere che la morte del giovane ricercatore sia responsabilità dello stato egiziano potrebbe essere dunque motivo di gran imbarazzo anche di fronte alle imprese italiane che hanno investimenti enormi nel paese. A partire dall’Eni che presto investirà circa 10 miliardi di dollari per lo sfruttamento integrale del maxi-giacimento gasiero Zohr 1, da poco scoperto nella acque territoriali egiziane.

Al Cairo la vasta comunità italiana osserva un religioso silenzio e chiede verità per una morte che al momento sembra non avere nessuna spiegazione.

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