Potrebbero essere assai alte le probabilità che una sensazione di déjàvu colpisca tutti gli italiani alla notizia che tra un mese in 153 Comuni, tra cui Milano, Roma, Napoli, Bari, Bologna e Firenze (la diffusione su tutto il territorio nazionale si completerà nel 2018), potrà essere richiesta ed ottenuta la carta d’identità elettronica. È da talmente tanti anni che se ne parla, per la precisione ben 19 anni, che ormai sembrava non crederci più nessuno.

Del resto la prima legge che parlava di questa tessera, simile al bancomat, risale a metà 1997 ed era stata inserita nel cosiddetto pacchetto Bassanini sulla semplificazione amministrativa. Da allora, tra annunci, smentite, regimi sperimentali, cambi di strategia in nome della revisione della spesa sono state circa 130 le amministrazioni comunali (su oltre 8mila in totale) che, a suon di milioni di euro, hanno distriubuito in via sperimentale circa 4 milioni di pezzi. Ma, per stessa ammissione dei Comuni, si è sempre preferito tornare alla versione cartacea, perché la carta d’identità elettronica costava troppo e i fondi a disposizioni non ce ne sono mai stati a sufficienza. Servono, infatti, macchine specifiche per l’emissione della smart card. E tutte quelle rilasciate fino ad oggi sono state anche ‘inutili’, poiché prive dei dati biometrici che contraddistinguono la carta d’identità digitale.

E la novità che scatterà da marzo nei 153 Comuni sta proprio qui: le nuove carte dovranno contenere le impronte digitali, il codice fiscale e gli estremi dell’atto di nascita, corredati da una serie di elementi di sicurezza (come ologrammi, sfondi di sicurezza e micro scritture), adeguando così l’Italia agli standard europei ed eliminando le possibilità di contraffazioni. Inoltre, al momento della richiesta, il cittadino potrà fornire anche il proprio consenso alla donazione degli organi indicando il numero di telefono, l’indirizzo di posta elettronica o l’indirizzo Pec.

Tutti i rilievi saranno fatti direttamente dagli addetti dell’ufficio anagrafe del Comune: la foto sarà realizzata grazie a una fotocamera digitale, mentre uno scanner ottico rileverà le impronte digitali. Poi verrà richiesto di firmare elettronicamente il documento. Il rilascio non sarà, tuttavia, immediato: la stampa della card è affidata all’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato che la spedirà a casa entro sei giorni lavorativi insieme al Pin e al Puk per accedere ai servizi online. Proprio come si fa con l’Inps e l’Agenzia delle Entrate. I cittadini in possesso di un documento in corso di validità non sono però obbligati a richiedere immediatamente il nuovo documento elettronico e potranno aspettare la scadenza naturale.

Il costo della carta d’identità elettronica? Cinque volte più caro della tessera cartacea: 25,42 euro contro 5,42 euro. Un esborso maggiore che dovrebbe essere compensato dal pensiero che anche gli italiani potranno finalmente diventare cittadini digitali. E il pensiero va subito all’Estonia, dove dal 2002 si può aprire un’azienda in 18 minuti, firmare un contratto a distanza, pagare le tasse, il parcheggio o il biglietto dell’autobus semplicemente utilizzando l’Id della card elettronica che permette di accedere a tutti i servizi digitali del Paese.

Arduo, quindi, il compito dell’Agenzia per l’Italia digitale (Agid) che, dopo la pubblicazione in Gazzetta del decreto sulla nuova carta di identità elettronica, ha assunto la supervisione e il raccordo tra il ministero dell’Interno (che mette a disposizione il sistema infrastrutturale) e il Poligrafico per cercare di semplificare una procedura assai complessa.

L’innovazione è, infatti, tutta raccolta nella parola semplificazione. Ma in Italia se n’è fatto un abuso teorico, mentre le riforme troppo spesso si sono arenate. E gli esempi della Pec, dell’Anagrafe unica e dell’identità digitale (Spid) sono solo gli ultimi in ordine di tempo. E, proprio analizzando il sistema pubblico di identità digitale (una sorta di superpassword per accedere entro il 2017 a tutti i servizi pubblici – ad esempio i referti medici, la tassa sui rifiuti o le tasse scolastiche – anch’esso tuttavia ai nastri di partenza) con la carta d’identità digitale, gli esperti hanno sollevato una questione: che rapporto c’è tra i due? Per ora nessuno: i sistemi non sono integrati e si correrà il rischio di avere il terzo Pin da gestire (dopo quello Inps-Entrate e carta d’identità) che servirà per accedere allo Spid. Un non dialogo che, tra gli svantaggi concreti, comporta il doversi tenere nel portafogli ancora per chissà quanto la tessera sanitaria che potrebbe, invece, essere inglobata nella carta d’identità. Forse qualche indicazione in più ci sarà nei decreti attuativi della riforma della Pubblicazione amministrazione approvata due settimane fa, i cui testi tuttavia ancora non sono stati pubblicati perché il nuovo codice attende la seconda e definitiva approvazione del Consiglio dei Ministri.

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