È il racconto di una vicenda che ha indubbiamente segnato la recente storia politica italiana. Ma non solo. A sentire l’autore, il deputato di Alleanza liberalpopolare-autonomie (Ala), Massimo Parisi, è anche “il primo tassello di un progetto politico nuovo” che sarà definito negli anni a venire. Il Patto del Nazareno, libro edito da Rubbettino presentato oggi a Roma alle 18 alla sala del Tempio di Adriano, racconta, principalmente attraverso i report che Denis Verdini era solito inviare a Silvio Berlusconi, quanto è accaduto fra il 18 gennaio 2014 e il 31 gennaio 2015, data di nascita e di morte del celebre accordo stretto nella sede del Pd fra Matteo Renzi e il leader di Forza Italia. “L’idea iniziale era quella di scrivere un libro che esaltasse Renzi e Berlusconi come nuovi padri costituenti, poi le cose sono andate diversamente”, spiega Parisi. Tanto che “il primo titolo che avevo immaginato era Quelli che fecero l’Italicum”. Ilfattoquotidiano.it ha potuto leggere il libro in anteprima. Eccone, di seguito, i 10 punti principali.

Agli albori del patto. Uno dei primi episodi raccontati dal deputato di Ala nel suo libro è quello relativo alla possibilità che l’incontro fra Renzi e Berlusconi potesse tenersi a Firenze e non nella Capitale. Qualche giorno prima del vertice al Nazareno, Parisi si reca quindi nello studio di Verdini per sconsigliargli il manifestarsi di un simile scenario: così “sembrerebbe che anche Berlusconi viene a omaggiare Renzi e a Firenze dobbiamo farci le amministrative”. Verdini risponde facendo leggere al suo interlocutore un promemoria del 14 gennaio 2014 che ha spedito al leader di FI: “Io ti consiglio ancora di vedere Renzi a Roma, presso la sede del Pd, per una serie di motivi”, scrive. Primo: “Sfatare un tabù: pensa al tuo ingresso a largo del Nazareno e al giro del mondo che faranno quelle immagini”. Due: “Questa trattativa, al di là della sostanza, che in questo caso è vita, ti riporta al centro della politica e degli assetti futuri delle istituzioni”. Infine: “Pensa all’importanza di un incontro pubblico con il segretario del Partito democratico, proprio nei mesi in cui volevano renderti ‘impresentabile’ e trattarti da ‘pregiudicato’ espulso dalla politica. Ora invece ricevuto nella sede del Pd, saresti uno dei padri fondatori della Terza Repubblica”.

Lo zio dell’Italicum. L’ex braccio destro del Cavaliere non parteciperà al faccia a faccia. “Ho detto a Renzi che lo chiamerà Gianni Letta per fissare ora e giorno dell’incontro e le relative modalità. (…) Penso che ti potrei essere utile e sarei anche orgoglioso di essere al tuo fianco in un momento così decisivo, ma non c’è bisogno che tu mi dica niente: capisco che per una questione d’immagine è meglio passare la palla a Gianni”, scrive Verdini. Ma il senatore toscano ha già intavolato la trattativa con Roberto D’Alimonte, “lo zio dell’Italicum”, come ama autodefinirsi. Il confronto fra i due si tiene domenica 12 gennaio 2014 a Firenze e dura quattro ore. “Anche in questo caso tutto avviene al riparo di telecamere e giornalisti, giacché i due si vedono nell’abitazione di D’Alimonte”, annota Parisi. È un nuovo report di Verdini a Berlusconi del 14 gennaio 2014 a raccontare com’è andata: “L’incontro è stato lungo e molto approfondito sia sul piano tecnico che su quello sociologico. (…) Per sua stessa ammissione, la conoscenza, i dati e le simulazioni che io gli ho illustrato e consegnato erano quasi del tutto identici ai suoi. (…) Dopo le basi che io e D’Alimonte abbiamo gettato – conclude – il suo successivo incontro con Renzi è stato ottimo per il possibile accordo. Di questo ho avuto notizia da entrambi”.

Telefonare Palazzo Chigi. Un altro episodio curioso, raccontato nel libro, è quello che avviene durante il vertice a Largo del Nazareno. “L’incontro dura molto più del previsto – scrive Parisi –. Alle 6 della sera, Berlusconi e Letta sono ancora seduti sul divanetto dell’ufficio di Renzi. (…) Il telefonino del segretario del Pd squilla di frequente e, stando al racconto che Berlusconi farà poco dopo a Verdini, a chiamare con insistenza è Palazzo Chigi”. Dall’altra parte del telefono, a chiamare ripetutamente Renzi, è l’allora presidente del Consiglio, Enrico Letta, “un altro toscano che di questa storia sarà però soltanto prima spettatore e poi vittima” che “aspetta con impazienza notizie e forse ha già in fondo capito che anche la vita del suo governo è appesa a quel vertice”.

Il perfetto trasformista. Leggendo il testo si capisce come, almeno nelle fasi iniziali del loro rapporto, Verdini non avesse grande stima di Renzi. Quando, durante la campagna del 2013 per le primarie per la leadership (poi perse dall’allora sindaco di Firenze contro Pier Luigi Bersani), Parisi cerca di mettere in guardia Verdini “dal rischio ‘Renzi’ e dalla possibilità che ottenesse un successo clamoroso e che ce lo ritrovassimo come avversario”, egli risponde: “È solo un chiacchierone. Dice sempre le stesse cose”. E ancora, il 27 dicembre 2013: “Se fosse uno sciatore”, Renzi “sarebbe uno specialista degli slalom, ma ora il bluff sta necessariamente per essere visto. Tolta la rottamazione, che è un concetto piuttosto semplice, non è ancora chiaro che cosa sia esattamente il renzismo”. Di più: “Abbiamo letto tante autorevoli analisi sulla sua carica innovativa e la sua radicale discontinuità, il ricambio generazionale, il rinnovamento politico-culturale, la rigenerazione morale ed esistenziale. (…) Renzi riesce a promuovere molto bene la confezione” ma “per ora è stato un perfetto trasformista”.

Le segretarie del segretario. Tranchant sono invece i giudizi che Verdini dà dei componenti della segreteria del Pd guidata dal futuro premier. “Più che di una segreteria politica – scrive Parisi citando il report del 28 dicembre 2013 – si tratta di un gruppo di segretarie e segretari di Renzi”. Luca Lotti? “L’unica cosa che si sa di lui è che è un collaboratore di Renzi. Non solo per età e inesperienza, il profilo appare oggettivamente modesto”. Francesco Nicodemo? “Forse l’unica cosa che può aver eccitato Renzi è che questo tipo ha passato gli ultimi mesi a insultarsi con i comunicatori più vicini a Bersani, tali Stefano Di Traglia e Chiara Geloni”. Debora Serracchiani? “Studia faziosità da Rosy Bindi”. Federica Mogherini? “La solita solfa gné-gné-pacifismo-femminismo-europeismo”. Pina Picierno? “Veltroniana, franceschiniana, bersaniana e fervente anti-renziana alle scorse primarie, ma poi evidentemente pentita: un altro salto sul carro del vincitore ben riuscito”. Maria Elena Boschi? “Bella è certamente bella, a dir poco. Più adatta al tema forme che al tema riforme, si potrebbe dire”. Marianna Madia? “Ha già girato praticamente tutte le correnti del Pd”. L’unico su cui Verdini esprime apprezzamento è il vicesegretario Lorenzo Guerini: “Forse è l’unico elemento davvero bravo e interessante. Simpatico e concreto, appare (e forse è) effettivamente lontano dallo stereotipo del sinistro torvo, ideologico e trinariciuto”.

Non trattate con Nardella. Il 18 dicembre 2013 il Corriere della Sera dà notizia di un faccia a faccia fra il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, e Dario Nardella (al tempo deputato del Pd) sulla legge elettorale. I due avrebbero ragionato su una rivisitazione del Mattarellum. “L’incontro ha un impatto deflagrante: i due mediatori non sanno a quel momento dello stato avanzato (ma riservato) dei contatti Verdini-Renzi – rivela Parisi –. Verdini di per sé fa spallucce, tuttavia quando lo stato maggiore del partito si riunisce e Brunetta insiste sull’opportunità di proseguire nel contatto con Nardella, Verdini perde le staffe e i due di fronte a numerosi testimoni si prendono a male parole, fin quando, esasperato dall’insistenza del capogruppo, il fiorentino di ghiaccio viola la riservatezza cui è vincolato da settimane, tira fuori il telefonino e mostra un sms”. Il mittente è Matteo Renzi. Scrive: “Non trattate di legge elettorale con Nardella”.

L’accordo è rotto (anzi no). Più volte, come racconta Parisi, il patto del Nazareno sembra sull’orlo di rompersi. Evidente, anche se “non trapela minimamente sui giornali della domenica”, è “il disappunto di Verdini” nei confronti di Renzi al termine del fatidico incontro al Nazareno. I due avevano concordato una legge elettorale sul ‘modello spagnolo’, ma davanti a Berlusconi e Letta il segretario dem cambierà le carte in tavola. A Sant’Andrea delle Fratte, infatti, lo ‘Spagnolo’ diventerà ‘Italicum’. Renzi, come riporta il deputato di Ala, spiegherà ai suoi interlocutori che contro questo sistema “si coalizzerebbero tutti, da Napolitano a Enrico Letta, (…) con effetti devastanti sulla stessa tenuta della legislatura”. Un cambiamento sostanziale: il computo dei seggi viene spostato dal livello del collegio alla distribuzione nazionale. Ma non solo: ci sono le questioni relative alle ‘liste civetta’ e alla soglia da raggiungere per conquistare il premio di maggioranza. Senza dimenticare gli emendamenti ‘salva Lega’ e ‘Lauricella’. Il momento di massima tensione, in questa fase, è però il durissimo faccia a faccia fra Brunetta e la Boschi del 10 marzo 2014. Il capogruppo di FI chiede un incontro a Renzi (“un quarto d’ora nella pausa pranzo”) per parlare della questione delle ‘quote rosa’. Il segretario dem, già sbarcato a Palazzo Chigi, decide però di non convocare l’ex ministro. Morale: nell’ufficio del presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, al tempo il forzista Francesco Paolo Sisto, Brunetta sbotta. “Il patto è rotto”, dice. “Il patto è rotto”, ripete. “Ne nasce una furibonda rissa verbale fra Brunetta e la Boschi: non l’avevo mai vista incazzata, e la ministra dimostra di tener testa al suo antagonista”, scrive Parisi. Alla fine la situazione tornerà alla normalità. Il patto è salvo. Per ora.

Verdini jr. diventa renziano. A un certo punto, nel testo di Parisi, compare anche il figlio di Denis Verdini, Tommaso. Di buon mattino, il 20 gennaio 2014, dopo una notte passata in discoteca, il 25enne viene svegliato dal padre. Il motivo? Per comunicare con Verdini senior, che “ha poca confidenza con il computer”, nel weekend Renzi invia le proprie mail alla casella di posta elettronica del giovane. Il quale, ‘a sua insaputa’, è un sostenitore del premier. O almeno così ha detto a quest’ultimo lo stesso Verdini. Una volta venuto a conoscenza dell’involontario endorsement, Tommaso starà al gioco tanto da inviare a Renzi un sms: “Matteo sono molto contento di come sono andate le cose, ho molta fiducia in te, l’ho sempre avuta… In bocca al lupo. Post scriptum: in casa Verdini vada come vada hai sempre un alleato”. E poi? “In verità nel corso dei mesi successivi – annota l’autore – Tommaso si è realmente convertito al renzismo”.

Pistola schizza piscio. Fondamentale è anche il lungo report che Verdini invia a Berlusconi il 7 aprile 2014, pochi giorni dopo una dura intervista di Brunetta al Corriere (“Renzi vuole distruggerci”) e un fuori onda fra Maria Stella Gelmini e Giovanni Toti nel quale quest’ultimo dice che il Cavaliere “non sa cosa fare con Renzi, perché ha capito che questo abbraccio mortale ci sta distruggendo, ma non sa come sganciarsi”. Parisi riporta il contenuto del documento: “Io, malgrado ciò che scrivono i quotidiani (debitamente imbeccati da qualcuno dei nostri) non ho alcun interesse individuale a portare avanti il rapporto con Renzi – scrive Verdini –. Se sono un convinto sostenitore dell’esigenza di proseguire questa strada è solo perché sono certo che sia quella giusta principalmente per te e per il nostro movimento politico. (…) Quando avevamo le pistole cariche non le abbiamo usate, ora che, come si dice in Toscana, abbiamo una pistola ‘schizza piscio’, vorremmo far paura a chi ha il cannone!”. Si tratta di un documento ‘storico’. All’interno del quale, secondo Parisi, avviene una “conversione laica”, l’“ingresso” di Verdini “nella chiesa del Nazareno”. Il premier “somiglia a quel genio della politica e dell’impresa che nel 2001 propose agli italiani un ‘contratto con gli italiani’”, scrive il leader di Ala. Cioè proprio Berlusconi. In un altro report (15 maggio), dopo la pubblicazione del colloquio tra Alan Friedman e il Cavaliere nel quale egli si dice molto deluso da Renzi seppellendo il Nazareno, Verdini chiede all’ex premier di essere “sollevato” dall’incarico di “ufficiale di collegamento” con il numero uno di Palazzo Chigi.

Il cerchio tragico. L’ultimo report è datato 27 marzo 2015, circa due mesi dopo l’elezione al Colle di Sergio Mattarella che ha messo la parola “fine” sull’accordo. Verdini, oltre che a Berlusconi, lo invia a Gianni Letta e Fedele Confalonieri, che del patto sono stati sponsor ‘esterni’. Quelle che l’ex plenipotenziario di FI mette nero su bianco sono parole dure. “Dopo aver buttato via in un colpo solo il patrimonio politico del patto del Nazareno – domanda Verdini – intendi cestinare anche l’immenso patrimonio politico che hai costruito in vent’anni? Ti sei rinchiuso nel castello incantato con intorno personaggi che il partito non apprezza e non rispetta e li stai usando come clave per regolare non si sa quali conti e perché”. Sono i componenti di quello che il senatore toscano chiama “cerchio magico”, chiedendosi però se non sia “tragico”. Addirittura “un mediocre sinedrio fatto di arroganza, di superficialità e anche, lasciamelo dire, di incompetenza”. Seguono gli addii di Raffaele Fitto, Daniele Capezzone e dello stesso Verdini. Il resto è storia.

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