A parole gli ultimi governi le hanno sempre tirate in ballo per dare una bella lustrata ai conti pubblici. Ma tra il parlare di dismissioni immobiliari e il farle per davvero c’è di mezzo la crisi del mercato, oltre che un patrimonio diviso tra tanti enti e sparso su tutto il territorio nazionale. Così le cessioni vanno meno bene del previsto. Come ha ammesso in un recente convegno in Bocconi Bruno Mangiatordi, a capo della direzione del ministero dell’Economia che gestisce il patrimonio dello Stato, sono sotto le aspettative anche le operazioni sui pezzi migliori, quelle gestite dalla Cassa depositi e prestiti (Cdp), la società a maggioranza pubblica controllata proprio dal Tesoro e con in pancia i risparmi postali degli italiani. Nonostante ciò la cessione in blocco di un portafoglio di immobili alla Cdp è la carta che il governo si deve giocare anche quest’anno per raggiungere un obiettivo di dismissioni che è stato recentemente ridimensionato a 500 milioni di euro. Le trattative con la Cdp sono ancora in corso. I dettagli sono top secret, ma l’accordo deve essere chiuso entro la fine dell’anno. Così il governo incasserà denaro contante, mentre i cespiti da valorizzare verranno spostati a una società che, benché sia nell’orbita pubblica, non concorre al bilancio dello Stato. Fa niente se poi, dopo le valorizzazioni, le attività di vendita della Cdp rischiano ancora una volta di essere poco floride.

Obiettivo 2015 ridotto a 500 milioni – L’ex premier Mario Monti nel Documento di economia e finanza (Def) del 2013 aveva previsto di incassare quest’anno ben 1,450 miliardi di euro grazie alla vendita di immobili pubblici. L’obiettivo è stato prima confermato da Enrico Letta, per poi essere ridimensionato da Matteo Renzi. L’attuale presidente del consiglio all’inizio ha ridotto le entrate per il 2015 a un miliardo, salvo rendersi conto in seguito che l’obiettivo era ancora troppo ambizioso. Così a settembre nella nota di aggiornamento al Def del 2015 la stima è scesa fino a 500 milioni di euro, un terzo di quanto avevano previsto sia Monti che Letta, la metà di quanto auspicato da Renzi durante il suo primo anno e mezzo di governo. E anche per il prossimo biennio 2016-2017 le previsioni sono state tagliate: dai 1.950 milioni messo neri su bianco nel Def nel 2013 si è passati con l’ultimo aggiornamento a 900 milioni, 400 per il 2016 e 500 per il 2017.

Quasi pronta la vendita straordinaria di fine anno – Sebbene alla fine dell’anno manchino davvero pochi giorni, non è ancora chiaro quanto vada ancora dismesso per raggiungere l’obiettivo del 2015. Ilfattoquotidiano.it lo ha chiesto al ministero dell’Economia senza ottenere risposta. Del resto la fase è delicata, perché proprio in questi giorni è in corso una trattativa per la cessione in blocco di immobili alla Cdp Investimenti sgr, una società partecipata al 70% da Cdp e con il resto del capitale in mano alle fondazioni bancarie e alla lobby del credito, attraverso l’Acri (Associazione di fondazioni e di casse di risparmio spa) e l’Abi (Associazione bancaria italiana). Si tratta della stessa operazione straordinaria di fine anno già realizzata nel 2013 e nel 2014. Da un elenco di immobili pubblici preparato con l’aiuto dell’Agenzia del Demanio, Cdp Investimenti Sgr sceglie quelli migliori dal punto di vista delle possibilità di metterli sul mercato in tempi brevi. Gli immobili acquistati dalla società di Cdp vengono poi valorizzati, ovvero se necessario vengono ristrutturati o viene cambiata la loro destinazione d’uso per renderli più appetibili. Dopo di che vengono offerti a possibili acquirenti, come successo di recente per l’ex teatro comunale di Firenze, finito al centro di polemiche perché è stato promesso in vendita a una società vicina al padre del premier, Tiziano Renzi. Grazie a tali operazioni il governo dà una sistemata ai conti, lasciando a Cdp l’incombenza di rivendere ai privati. Cosa che in tempi di crisi del mercato immobiliare è decisamente complicata, come hanno fatto notare anche il dirigente del ministero Mangiatordi e Stefano Mantella, direttore delle Strategie immobiliari dell’Agenzia del Demanio nel corso del convegno ‘Il patrimonio pubblico immobiliare. Proposte per un piano di riqualificazione e valorizzazione’, che si è tenuto lo scorso 30 novembre all’università Bocconi di Milano.

Le vendite di Cdp? Tre immobili sui 65 acquistati – Benché si scelga i migliori, Cdp ha dunque le sue difficoltà a vendere gli immobili acquistati. Lo dimostrano i dati sulle operazioni straordinarie del 2013 e del 2014. Attraverso il comparto Extra del fondo Fiv, Cdp Investimenti Sgr ha comprato a fine 2013 40 immobili di Stato e altri enti per un valore complessivo attorno ai 490 milioni, mentre a fine 2014 nel portafoglio acquisito erano inclusi 25 immobili per circa 220 milioni. Su un totale di questi 65 immobili, al momento ne sono stati venduti solo tre, mentre altri quattro, tra cui l’ex teatro comunale di Firenze, sono in via di dismissione. Il valore complessivo di quanto è già stato venduto o verrà venduto nei prossimi mesi sulla base di accordi esistenti è intorno ai 100 milioni di euro, meno di un settimo dei 710 milioni investiti negli acquisti di fine anno. A cui vanno aggiunti i costi per ristrutturazioni e progetti. Una differenza che da Cdp giustificano con i tempi necessari proprio per la valorizzazione degli immobili, che talvolta sono oggetto di vere e proprie attività di sviluppo e trasformazione edilizia, come nel caso dell’ex caserma Guido Reni di Roma, dove è stato portato avanti un piano per la realizzazione di residenze, housing sociale, negozi, hotel e museo.

Le difficoltà a dismettere? Crisi di mercato e patrimonio sparso – Le vendite, in ogni caso, non tirano. Pesa la situazione del mercato immobiliare, insieme ad altri fattori, a cui Mangiatordi ha fatto riferimento nelle slide presentate in Bocconi. Innanzitutto solo una piccola parte del patrimonio pubblico è libera e quindi disponibile per essere messa in vendita: considerando i fabbricati e i terreni dello Stato gestiti dall’Agenzia del demanio, che in tutto valgono 56 miliardi, è inutilizzato solo il 2%, mentre il resto è assegnato in uso governativo alle amministrazioni dello Stato per fini istituzionali (l’80% in termini di valore) o utilizzato da soggetti pubblici e privati, gratuitamente o a fronte di un canone (18%). E neppure tutto ciò che è libero è vendibile, perché nel 2% sono comprese per esempio miniere e aree verdi. Se poi si allarga lo sguardo per includere anche i beni proprietà degli enti territoriali e delle altre amministrazioni, come gli enti previdenziali, il Tesoro non ha nemmeno un quadro completo, visto che alla rivelazione effettuata nel 2013 ha partecipato solo il 61% delle amministrazioni pubbliche, con un numero di comuni che rappresentano l’82,4% della popolazione. Tale analisi ha portato al censimento di quasi 804mila unità immobiliari, intese come singole particelle catastali, per una superficie complessiva di 300 milioni di metri quadri, quasi l’80% della quale è in mano alle amministrazioni locali. E un patrimonio così diviso e sparso su tutto il territorio nazionale, secondo Mangiatordi, rende ancora più difficili le dismissioni.

@gigi_gno

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