Al corso di programmazione gratuito per sole donne, non si trovano insegnanti donne. Undici coach, tutti uomini. Le hanno cercate, fino all’ultimo, ma confidano di trovarne almeno una tra le iscritte. “Molte ragazze che seguiranno il corso di Roma, il 12 dicembre, hanno le competenze per insegnare a programmare”, spiega Laura Bartoli, che lavora nello staff comunicazione degli eventi italiani di Django Girls, organizzazione internazionale che promuove l’ingresso delle donne nel mondo della programmazione. Offre corsi gratuiti in tutto il globo, Django Girls, ma quello che si terrà nelle sale del Luiss Enlabs è il primo in Italia. All’estero non va meglio. “Nemmeno in India Django Girls è riuscita a trovare donne disponibili ad insegnare”, ammette Bartoli.

Eppure l’India è il paese delle programmatrici. Secondo il sito stack overflow, lì vive il 15% delle sviluppatrici software. Nel mondo, solo un programmatore su 5 è donna, appena il 20%. A duecento anni della nascita di Ada Lovelace, figlia di Lord Byron e prima programmatrice della storia, il bilancio per il gentil sesso è magro.
In Italia, solo il 3% dei laureati in informatica è donna. Le programmatrici sono 9 su 100. Qualcosa si muove, però. “Qui a Roma abbiamo chiuso le iscrizioni al corso di Django Girls in anticipo – esulta Laura – attendevamo 30 ragazze e sono 90”.

Anna Elisabetta Ziri, programmatrice di Bologna, ce l’ha fatta. Insieme a Silvia Parente ha fondato Nemoris, una delle poche start-up italiane al femminile. Il loro software archivia e gestisce documenti, consente ricerche semantiche e automatizza l’inserimento dati. “Quando illustro il nostro software ai manager di altre aziende mi chiedono se l’ho scritto proprio io”, dice Anna masticando amaro. “Oppure vogliono vedere il curriculum – rincara -. Ho chiesto in giro e non mi risulta che lo chiedano anche agli uomini”. Non è stato facile, per Anna e Silvia.

Fino al 2011 lavoravano alla prestigiosa Think3, corporation del software con uffici a Bologna. L’azienda entra in crisi, ma l’Emilia non è la Silicon Valley: imprese di pari livello, nemmeno l’ombra. “Lavoravamo con milioni di righe di codice, l’alternativa erano le finestrine per database”, ricorda Silvia. Così nasce Nemoris, tra gli sguardi perplessi degli uomini delle start-up. “Durante la fase di lancio, capitava che io e Silvia fossimo le sole donne in sale con 40 uomini. Molti sembravano chiedersi cosa ci facessero due madri di famiglia tra gli imprenditori”. A Nemoris, il codice lo scrivono in due: Anna e Silvia. Gli uomini invece curano vendite e marketing. In genere accade il contrario.

A Nephila, l’azienda software dove lavora Laura Bartoli, il codice lo scrivono gli uomini. Non è una scelta. Nephila sostiene Django Girls ed è in prima fila nella lotta alle disparità di genere. E’ che le programmatrici scarseggiano, non solo in Italia. Google ha stanziato 50 milioni di dollari per avvicinare le donne alla programmazione, con l’iniziativa Made With Code. A Mountain View, infatti, su cento sviluppatori 83 sono uomini.

E si capisce perché, leggendo la ricerca del Ceps. In Europa, le lauree nelle discipline STEM (come ingegneria, informatica o matematica) rendono poco sul breve periodo. Anzi nulla, per le donne. Una neo-laureata non riesce a ripagarsi nemmeno l’investimento universitario. Gli uomini invece sì. La ricerca del CEPS pone come base 100: il valore di una laurea STEM, dopo 5 anni, è 55 per gli uomini; -32 per le donne. Per il gentil sesso, sul breve periodo, rende più una laurea in lettere (-15).

Perciò Nephila punta sulla formazione delle sue lavoratrici, illustrando loro le basi della programmazione. “Da noi, per fortuna, va tutto per il meglio – racconta Laura – ma esistono episodi di sessismo e discriminazione verso le donne”. Una laurea in informatica rende poco, sul breve termine. Ma il disinteresse delle ragazze si spiega anche col pregiudizio degli uomini. “Temono che le donne possano essere più brave – spiega Laura -, e vogliono conservare i privilegi professionali”.

Barbara Caputo, docente di ingegneria informatica alla Sapienza, lo ha imparato a sue spese. Quest’anno ha vinto un finanziamento europeo da 1 milione e mezzo di euro per realizzare il suo progetto: un robot per anziani e disabili che impari da solo consultando internet. Barbara in principio ha sofferto il pregiudizio. “Negli anni del dottorato, in Germania a Norimberga, mi dicevano che se volevo fare questo mestiere avrei dovuto rinunciare alla famiglia”. Oggi è sposata con due figlie. “Un professore mi avvisò che se un uomo elogiava una collega era solo per portarsela a letto. Gli risposi che se uno si complimentava con lui, quindi, non era perché fosse bravo, ma perché voleva il suo sedere”. Barbara non ha dubbi: la discriminazione l’ha vissuto in Germania, mai in Italia.

Nemmeno i modelli educativi avvicinano le donne alla tecnologia. “Ci sono cascata anche io – racconta Anna Ziri -. Dovevo comprare due regali: al bimbo ho preso un gioco sugli esperimenti scientifici, per la bimba sono andata d’istinto al reparto rosa. Ho riflettuto un istante, alla fine ho preso due giochi scientifici”.
Così, molte ragazze finiscono per credere che la scienza non sia “roba per donne”.

A Django Girls sono ottimisti. Sono certi di cambiare le cose, con i corsi gratuiti in giro per il mondo. “Basta guardare l’evento di Kampala in Uganda – spiega Laura – , che si è svolto il 21 Novembre. Quella appena passata è la seconda edizione e ora la maggior parte dei coach è di sesso femminile”. La prossima tappa italiana è a Firenze, ad aprile 2016: AAA donne che scrivono codice cercasi.

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