Ho già citato altre volte il libro di Alan Weisman “La terra senza di noi”, in cui l’autore immagina, su basi peraltro scientifiche, quanto tempo ci vorrà perché la natura si riprenda i suoi spazi dopo la scomparsa dell’umanità.
Ma non sapevo che ci fosse un esempio che precorre i tempi: è l’isola di Gunkanjima (o Hashima), che significa “isola della nave da guerra”, a causa della sua somiglianza con una corazzata giapponese.

Gunkanjima è un’isola di origine vulcanica che dista 17 chilometri da Nagasaki ed è una delle 505 isole della omonima prefettura. Essa misura appena 480 metri di lunghezza e poco meno di 150 di larghezza. La sua “fortuna” era costituita dal carbone. L’esistenza della miniera fece sì che prima, nel 1887, ci si stabilissero dei minatori, e poi nel 1890 la Mitsubishi la comprasse e ne iniziasse, oltre che lo sfruttamento industriale, l’edificazione e l’urbanizzazione. A far data dal 1896 il suo territorio venne progressivamente ampliato in sei fasi che la portarono ad assumere la forma attuale nel 1931.

Dopo la seconda guerra mondiale, Gunkanjima ebbe il privilegio di stabilire un record: la più alta densità di popolazione al mondo con ben 3.450 abitanti per chilometro quadrato. A tanta popolazione corrispondevano ben 60.000 m² di edifici abitabili, un ospedale, una scuola, templi, circa 25 negozi, bar, un cinema, una palestra, un campo da baseball e anche un bordello. Tra gli edifici residenziali vi era anche il primo condominio in cemento armato costruito in Giappone. Oltre agli edifici c’era il sito minerario, con diverse gallerie fin sotto il fondale marino. Il tunnel sotterraneo più profondo si estendeva per più di 1 km in profondità.

Gli abitanti erano divisi per caste. Minatori non sposati nei monolocali, minatori sposati e con famiglia nei bilocali con bagno e cucina in comune. Personale amministrativo e insegnanti potevano godere del privilegio di avere un bagno privato, mentre solo a colui che dirigeva la miniera spettava il diritto ad una casa indipendente. Non doveva essere una gran vita, ma tant’è…

Alla fine degli anni sessanta la domanda di carbone diminuì e nel 1973 le estrazioni cessarono del tutto perché non più convenienti e quindi la Mitsubishi optò per la chiusura dello stabilimento minerario. Il 15 gennaio del 1974, la miniera venne ufficialmente chiusa con una cerimonia aziendale presso la palestra locale e nell’arco di soli quattro mesi Gunkanjima assistette al suo rapidissimo spopolamento; l’ultimo lavoratore lasciò l’isola il 20 aprile dello stesso anno. Da luogo fra i più popolati al mondo a luogo spopolato nel breve volgere di venticinque anni. Da allora tutto sull’isola è rimasto al suo posto, il tempo si è fermato.

Da quest’anno, Gunkanjima è uno dei siti storici industriali patrimonio dell’umanità Unesco e oggetto di visite guidate. Essa è spettrale, inquietante, ma anche affascinante, una scenografia ideale per film da Mad Max (ma in realtà lo è stata per Battle Royale e Skyfall). Ironia della sorte: a Gunkanjima non cresceva nulla, ma oggi essa è in buona parte invasa dalla vegetazione, che sta avviluppando le sue rovine. Esemplari e significative sono le fotografie che la ritraggono, tipo quelle di Yves Merchand e Romain Meffre e di Guillaume Corpart Muller.

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