Il documento che attesta l’accordo per un ingente contributo finanziario di Muammar Gheddafi alla campagna di Nicolas Sarkozy per le presidenziali del 2007 è autentico. Lo dice la perizia consegnata negli scorsi giorni al tribunale di Parigi. La notizia è stata diffusa alla vigilia degli attentati di Parigi e per questo è passata sotto silenzio. A sollevare il caso fu Mediapart, i cui giornalisti Fabrice Arfi e Karl Laske seguono da oltre quattro anni il caso e ne sono anzi all’origine. Sono loro, infatti, ad aver scovato e pubblicato il documento in questione, due anni fa. L’inchiesta più difficile, sostengono a Mediapart, e la meno ascoltata. “Forse perché troppo scomoda?”, si domandano loro stessi. Si tratta infatti di un enorme caso di corruzione che giunge fino ai vertici dello Stato, tramite il finanziamento occulto della campagna per le presidenziali del 2007. E che – scrivono sempre quelli di Mediapart – “non si può escludere che abbia giocato un ruolo, coi suoi inconfessabili segreti, anche nell’interventismo militare francese in Libia, che precipitò la caduta e la morte di un dittatore che era stato ricevuto in pompa magna a Parigi”. Mediapart era entrata in possesso di un documento che comprovava la transazione. Pubblicato il 28 aprile 2012, era entrato nell’inchiesta giudiziaria aperta in seguito alle denunce circostanziate dei due giornalisti. Sarkozy non ha mai querelato Mediapart per diffamazione, ma ha preferito sostenere che il documento in questione fosse un falso.

Ma di che si tratta? E’ una lettera datata 10 dicembre 2006, che chiede lo sblocco di 50 milioni di euro a favore di Sarkozy in occasione delle presidenziali. La nota è indirizzata da Moussa Koussa, allora capo dei servizi segreti di Gheddafi, a Bachir Saleh, direttore di gabinetto di Gheddafi e presidente di uno dei fondi sovrani del paese, il Lybian Africa Portfolio (LAP). La testata ha sempre sostenuto di averlo pubblicato perché certa della sua provenienza, l’archivio ufficiale libico. I giudici Serge Tournaire e René Grouman hanno dunque chiesto una perizia per verificarne l’autenticità. Che è stata poi confermata: il file è “un documento autentico esistito su supporto fisico”. I giudici francesi hanno incaricato della perizia Roger Cozien, ingegnere informatico, tra i più competenti in materia, creatore lui stesso di un software chiamato “tungstene” utilizzato da molti tribunali in Francia e all’estero. Secondo Cozien, la possibilità che il documento in questione sia falso è “minima o inesistente”.

Il rapporto è di sessanta pagine e attesta che “nessuna traccia di alterazione e ancora meno di falsificazione volontaria è stato rilevato. Tutto lascia pensare che l’immagine digitale contenuta nel file sorgente (oggetto della perizia) sia stata inizialmente il risultato di un processo di scansione di un documento fisico, verosimilmente cartaceo”. Gli esiti vanno a rafforzare la perizia calligrafica, realizzata un anno fa, che confermava come autentica la firma di Moussa Koussa in calce alla lettera. Lo stesso ex capo dei servizi libici, ascoltato dai giudici il 5 agosto 2014 a Doha, dove si è rifugiato dopo la caduta del regime, aveva affermato che “il contenuto e l’origine” del documento erano veri, aggiungendo che era “il contenuto di questo documento ad essere pericoloso”.

Pubblicata il 28 aprile 2012 da Mediapart, la nota libica sui 50 milioni a Sarkò aveva provocato cinque giorni dopo la fuga dalla Francia di Bachir Saleh, il destinatario del documento, che era colpito da un mandato d’arresto internazionale dell’Interpol e che da mesi viveva sotto la protezione delle autorità francesi, senza essere indagato. Un’altra inchiesta giudiziaria, affidata al giudice Serge Tounaire, incaricato dell’istruttoria sul dossier della presunta corruzione franco-libica, ha poi dimostrato che erano stati i servizi segreti interni, a suo tempo diretti da Bernard Squarcini (vicino a Sarkozy), ad aver organizzato la fuga del braccio destro di Gheddafi. Nello stesso dossier Claude Guéant, direttore della campagna di Sarkozy nel 2007, poi numero due dell’Eliseo e ministro dell’interno, era stato messo sotto inchiesta per un versamento di 500mila euro nel 2008. I giudici sospettano che il denaro provenga proprio dalle reti libiche di Bachir Saleh e non dalla vendita di dipinti fiamminghi, come Guéant continua a sostenere contro ogni evidenza.

Va infine segnalato che Guéant proprio venerdì scorso, il 13 novembre, giorno degli attentati, è stato condannato in primo grado a due anni con la condizionale, al pagamento di 75mila euro e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, in un altro processo. Con lui, condannati anche l’ex direttore generale della polizia nazionale Michel Gaudin (dieci mesi con la condizionale) e tre membri di gabinetto all’epoca in cui Sarkozy era ministro (otto mesi con la condizionale e rispettivamente 40mila, 30mila e 20mila euro di ammenda). Guéant era sotto processo per “complicità nella sottrazione e occultamento di fondi pubblici”, per aver personalmente percepito e girato ai tre membri del suo gabinetto i bonus in denaro destinati alle spese di indagine e sorveglianza della polizia, quando era direttore di gabinetto del ministro dell’interno Sarkozy fra il 2002 e il 2004.

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