Oh, finalmente qualcuno se n’è accorto! Dopo una confusa sequela di “Bagnai sellino!”, “Bagnai leghista!”, “Bagnai monarchico!”, “Bagnai fascista!”, finalmente l’Organo di stampa della verità antica ed accettata, la Repubblica, ha emesso il suo verdetto: sono comunista!

A mia insaputa, devo aggiungere (anche se questo, dati i precedenti, mi farà immediatamente inquadrare come Bagnai berlusconiano)!

La cronaca: in una simpatica nota a firma di Matteo Pucciarelli (?), a pagina 14 la Repubblica ci informa oggi, giovedì 20 agosto, del fatto che Salvini sarebbe intenzionato ad aprire una scuola di formazione politica, ironicamente definita come un “convento laico” sul modello delle Frattocchie (per i più giovani, già sede della scuola di formazione dei dirigenti del Partito Comunista Italiano). Secondo il gentile cronista, sarebbero stati coinvolti personaggi che vanno da Yanis Varoufakis a Marine Le Pen, da Maurizio Landini a Ferruccio De Bortoli, mentre, testualmente:

“hanno già detto sì il membro laico del CSM Elisabetta Alberti Casellati e l’economista noeuro (cultura comunista pure per lui) Alberto Bagnai”.

Se siete qui suppongo che sia anche e soprattutto perché ne avete abbastanza di un certo modo di fare “informazione”. Non sarete quindi molto sorpresi nell’apprendere che per quanto mi riguarda la “notizia” riportata da Repubblica è fattualmente falsa (e sto valutando come procedere). Non ho detto di sì ad alcunché, per il semplice fatto che nulla mi è stato chiesto. Matteo Salvini, come tanti altri leader politici interessati a valutare criticamente l’Unione Europea, ha il mio numero: se vuole mi chiama. Ma credo capiate che se non mi chiama non posso rispondergli! L’ho chiamato io, pochi giorni fa, per invitarlo al convegno annuale dell’associazione a/simmetrie, e ha gentilmente accettato (come Crosetto, Fassina, e altri). Se avesse voluto parlarmi di questa iniziativa lo avrebbe fatto e gli avrei senz’altro risposto. Cosa non lo so: dipende dalla data, e un po’ anche dal taglio dell’operazione. Lo spirito di apertura ideologica che dimostra secondo me va apprezzato. D’altra parte, è sempre presente il rischio di metter su un “bar di Guerre Stellari”: una disparata accozzaglia di extraterrestri (o per lo meno di soggetti lontani dalle preoccupazioni di noi umani) con poco da spartire, che rischierebbero di frastornare, più che di formare, il proprio uditorio.

Un giornalista di Repubblica che non verifica le fonti riportando una notizia tendenziosamente falsa (o inventata): dove sarebbe la novità? In fondo, potrebbe anche essere un incidente di percorso, povero Pucciarelli! La buona fede si presume. D’altra parte, se la nostra stampa è piuttosto discreditata a livello internazionale un motivo ci sarà. È un peccato che sia così, perché una corretta informazione è essenziale per la democrazia, ma ne abbiamo parlato più volte. Fatta da me la rettifica (per sollevare il giovine, che sarà impegnato in altro), vorrei svolgere una rapida riflessione promossa da questo evento. La sciattezza dei giornalisti nostrani, in effetti, è come la follia del principe di Danimarca: in essa c’è, molto spesso, del metodo.

reporter

Due cose mi colpiscono nell’intervento del giovane Pucciarelli.

Intanto, l’ironia rivolta verso l’iniziativa di Salvini. Al giornalista di Repubblica (e presumibilmente ai suoi datori di lavoro), non va proprio giù che qualcuno si ponga il problema della formazione della classe politica italiana. La soluzione di Salvini sarà magari discutibile (per gli smemorati: la discuto qualche riga sopra), ma il problema esiste. I nostri politici sono di una impreparazione stellare, ed è inutile indignarsi, o magari riderci sopra quando le Iene ci fanno il servizietto, se poi non andiamo a riflettere su cause e conseguenze del problema.

Le cause sono complesse, ma certamente l’adozione di un maggioritario farlocco, dove per essere eletto devi semplicemente farti mettere in lista dal tuo capobastone, dispensa i nostri politici dal dotarsi di una preparazione culturale adeguata. Non è (solo) una mia idea. Se vi guardate questa interessante puntata di Omnibus, vedrete che in qualche modo anche Paolo Mieli riconosce che la “Seconda repubblica” ha un problema: è il deficit di politica, e quindi di democrazia, determinato dall’aver represso il ruolo dei partiti attraverso l’adozione di leggi elettorali non particolarmente brillanti. I membri di un Parlamento di nominati non hanno bisogno nemmeno di saper parlare. È facile immaginare circostanze in cui è più facile essere messi in lista mantenendo il silenzio!

Ci hanno insegnato che i partiti erano il male, erano la “corruzione”, erano il voto di scambio, andavano combattuti, irreggimentati: ne sarebbero bastati due, come in Inghilterra (dove ce ne sono una decina). Non nego che il problema esistesse, ma la soluzione proposta purtroppo è stata peggiore del male: ha generato una classe politica di yes men più corrotta e cialtrona, e infinitamente meno preparata, della precedente. Impreparata, soprattutto, a gestire il rapporto con le istituzioni europee. Mentre per i politici degli anni ’70 e ’80 l’Europa era un interlocutore in seno al quale l’Italia aveva pari dignità con gli altri paesi (ce lo ha ricordato su queste pagine Marco Palombi), i politici attuali sono totalmente soggiogati dal pensiero magico europeo, da quella che Giandomenico Majone chiama la “cultura politica dell’ottimismo totale”, e questa è senz’altro la conseguenza più dannosa della loro impreparazione. L’Europa, per loro, risolverà qualsiasi nostro problema: da quelli economici, a quelli geopolitici (ottima scusa per non far niente, del resto!). I fallimenti sono sotto gli occhi di tutti (dalla crisi economica a quella dei rifugiati), ma ai nostri politici, per risolvere le situazioni imbarazzanti, basta la parola: “Europa”. La Repubblica è, per tanti motivi, il principale organo di questo pensiero magico vagamente lassativo: non stupisce quindi che ironizzi su un’iniziativa che si propone di promuovere un pensiero critico.

All’apparir del vero lei, misera, cadrebbe, e lo sa bene…

Un’altra cosa che mi colpisce sono le etichette di “economista noeuro” e di “comunista” affibbiatemi dal solerte de cuius.

La prima (noeuro) è più innocua: segnala solo una rilevante ma scusabile deficienza culturale specifica del giovane cronista, al quale mi piacerebbe tanto chiedere se saprebbe indicarci il nome di un economista proeuro (fatto salvo il dottor Giannino, che tante soddisfazioni ci ha involontariamente dato), o meglio ancora di un lavoro scientifico che affermi la positività dell’euro. In tanti anni non ne ho trovato uno: tutti quelli che ho letto o sono apertamente critici o fanno infiniti distinguo, ma magari l’ignorante sono io (nel qual caso sarei inescusabile) e non il giovane Pucciarelli (ripeto, scusabilissimo: in fondo l’economia non è il suo campo).

Ma è l’etichetta di comunista a lasciarmi interdetto. A parte il fatto che “comunista” non si sa più bene cosa significhi, che chi si definisce così oggi normalmente aderisce in modo acritico e fazioso al pensiero magico europeo (e quindi non vedo proprio come potrei identificarmici), e che i miei lavori sia scientifici che divulgativi sono apertamente keynesiani (e Keynes era un liberale, secondo lui), c’è un altro aspetto che mi rende perplesso. Un paio di mesi or sono il giovane Pucciarelli concludeva un suo pasticciato Amarcord chiedendosi: “Serve un’etichetta passata che non capisce più nessuno [quella di comunista, n.d.r.] per dirci chi siamo?”. Come ogni domanda retorica, anche questa conteneva la risposta dell’autore: no.

E allora, giovane Pucciarelli, se sei anche quello che ha scritto l’articolo: perché usi per definire gli altri un’etichetta della quale riconosci l’inutilità? Te l’hanno chiesto, di essere incoerente con te stesso, perché magari (è solo un’ipotesi) state provando un altro spin? O ti è venuto spontaneo?

Ah, saperlo, saperlo…

Una cosa sola è certa: secondo Reporters sans frontières la nostra stampa si colloca fra quella della Moldova e quella del Nicaragua. Non ho nulla contro questi due paesi, ma vi ricordo che i giornalisti di Repubblica quotidianamente ci fustigano perché secondo loro noi siamo dei cialtroni che non si meritano la salvifica Europa (basta la parola). Ecco: sarebbe gradito se cominciassero a dare il buon esempio, ad esempio smettendo di riportare dei sentito dire o delle loro fantasie. Forse questo aiuterebbe a portare la stampa italiana dal 73° posto in classifica non dico al primo (Finlandia), ma almeno al 38° (Francia).

Io al giovane Pucciarelli do fiducia.

E voi?

P.s.: visto che qui si parla di giornalismo, agli analfabeti ricordo con affetto questa regola grammaticale, segnalando che io sono una persona cortese (da cui l’uso del condizionale di cortesia). C’è sempre un pirla che non lo sa, e prevenire è meglio che curare.

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