Ilia Yashin è tra i primi ad accorrere. La polizia ha già isolato il grande ponte di pietra Zamoskvoretsk, nel cuore di Mosca. E’ quasi mezzanotte di venerdì 27 febbraio. Da quest’anno, è il giorno in cui si festeggiano i servizi segreti: strana coincidenza. A metà del ponte, s’intravede la sagoma di un corpo riverso sul marciapiede, il maglione sollevato sin quasi al collo, a scoprire il torace dove sono evidenti i fori dei proiettili; un paio di agenti della Scientifica arrivati dal commissariato centrale della Petrovka esaminano la scena dell’agguato, culminato con un’esecuzione che Putin stesso definirà più tardi “un brutale assassinio”. Roba da killer professionisti: rapidi e precisi. Hanno abbattuto l’obiettivo, senza effetti collaterali. Cioè non hanno fatto altre vittime, nemmeno chi era con lui.
L’uomo senza vita è Boris Nemtsov, fondatore del partito liberale Parnas, un tenace liberale fiero oppositore di Putin, figlio ribelle della nomenklatura sovietica al tempo della perestrojka, ex vicepremier (con delega all’Economia) e ministro dell’Energia dal 1997 al 1998 nel governo di Viktor Chermiadyne, quando il presidente della Russia era Boris Eltsin.

Nemtsov era nato a Soci il 9 ottobre del 1959, si era laureato in fisica. Ci fu un momento in cui Eltsin pensò a quel giovane brillante come suo potenziale delfino. Invece, gli intrighi del clan che faceva capo alla “Famiglia” – le figlie di Eltsin e l’ambizioso oligarca Berezovskij – lo costrinsero alle dimissioni. Rimase in politica partecipando al progetto dell’Unione delle Forze di Destra, però ben presto la coalizione si sciolse per attriti tra i leader, tra chi voleva collaborare con Putin e chi, come Nemtsov, vedeva in quell’ex spia del Kgb un qualcosa di opaco, un nascente autoritarismo che mal si conciliava con la libertà politica. Allora, insieme al grande scacchista Garry Kasparov, fu tra i promotori di Solidarnost, il movimento di opposizione antiputiniano. Divenne così una delle voci democratiche più conosciute e apprezzate della Russia. Domenica primo marzo avrebbe dovuto guidare la “Marcia di Primavera”, la manifestazione organizzata dalle opposizioni contro la guerra in Ucraina e contro la crisi economica da essa provocata.

Il primo marzo avrebbe dovuto guidare la marcia contro la guerra in Ucraina e la crisi economica

La pioggia fredda sferza l’asfalto a tratti. Sullo sfondo, le cupole coloratissime di san Basilio. Di fronte, il Cremlino, la cittadella del potere putiniano. Quasi una location cinematografica, se non fosse che tutto è dannatamente vero, atroce, tragico. Yashin era uno dei più stretti collaboratori di Boris Nemtsov, nelle ultime manifestazioni di protesta gli stava sempre al fianco. I russi lo conoscono anche per la sua love story con la bella e vulcanica Ksenija Sobciak, la figlia del primo sindaco non sovietico di Pietroburgo nonché capo di Putin, quando il futuro presidente russo era solo un funzionario municipale, all’inizio della carriera. Vorrebbe avvicinarsi, ma l’area è isolata dalla polizia. Che sa di avere addosso gli occhi del mondo: pronto a scannerizzare il tenebroso omicidio politico all’ombra del Cremlino.

Anche perché è una morte annunciata: il 10 febbraio, al settimanale Sobesednik che lo aveva intervistato, Nemtsov aveva confessato che temeva d’essere fatto fuori, che sapeva chi lo voleva morto ai piani alti del potere, e poi, per sdrammatizzare, aveva aggiunto che aveva paura più per sua madre che non per se stesso. Col senno di poi, l’agguato sul ponte di pietra poteva essere benissimo il frutto della demonizzazione di cui era stato oggetto da un anno a questa parte. Più di Alexej Navalny, popolare e populista oppositore, il Cremlino temeva questo confezionatore di documentatissimi pamphlet che denudavano gli intrallazzi del regime.

I suoi pamphlet denudavano gli intrallazzi del regime. Una settimana fa, in un’intervista, i timori di essere ucciso

Yashin è sconvolto: ripensa alle profetiche dichiarazioni di Boris, alle minacce quotidiane che negli ultimi tempi avevano intimidito l’attività dell’opposizione, alle difficoltà crescenti di fare politica: permessi negati per manifestare in centro, tentativi di boicottare la Marcia della Primavera frantumandola in undici (11!) mini eventi, la concessione di manifestare in un remoto sobborgo, quello di Marijno mentre ai comunisti, patriotticamente schierati con Putin, lo stesso primo marzo, avevano ottenuto una piazza centralissima… ed ecco che quelli di Ria Novosti, l’agenzia governativa, lo chiamano al cellulare. Lui risponde: “Sfortunatamente, posso vedere coi miei occhi il corpo di Nemstov sul ponte. Vedo il cadavere e vedo tanta polizia”. Intanto, arrivano alla spicciolata altri noti oppositori. Come l’ex premier Mikhail Kasyanov: “Chi ha ucciso Nemtsov dovrà pagare un duro prezzo”, dichiara senza accusare nessuno di preciso, ma tutti capiscono a chi sono rivolte le sue rabbiose parole. Più politico Alexej Kudrin, economista liberale ed ex ministro delle Finanze che aveva lavorato per Putin e ora è passato dall’altra parte: “E’ una tragedia per la Russia”, stigmatizza. Per un Paese che si sta avvitando in una spirale di odio e di isolamento. C’è anche Vladimir Ryzhkov, fondatore del partito liberale con Nemtsov. Non usa mezzi termini: “Responsabile dell’omicidio è il clima fascista che il potere ha scatenato contro l’opposizione con la sua Quinta Colonna, il nuovo movimento russo dichiaratamente anti-Majdan”.

Il cofondatore del partito liberale: “Ammazzato da clima fascista scatenato dal potere”

I dettagli dell’agguato arrivano col contagocce. Nemtsov lo hanno ammazzato alle 23 e 20, mentre passeggiava insieme ad una giovane amica di 24 anni, forse non si è nemmeno accorto dell’auto bianca che lo ha affiancato, dei tipi armati che sono scesi e gli hanno sparato quattro colpi alla schiena: “Quattro, uno per ciascun figlio che aveva”, scriverà qualche minuto più tardi l’amico e “collega d’opposizione” Garry Kasparov, in un dolente tweet, “sono devastato dal sentire del brutale omicidio”…  Non è affatto casuale che Kasparov sottolinei la coincidenza. Un messaggio. Più o meno questo: sappiamo tutto di tutti i nemici della Russia, e li elimineremo. Appunto, “i nemici della Russia” come Nemtsov che denunciava la politica aggressiva di Putin, che dichiarava “illegittima” (ancora ieri, su Facebook) l’annessione della Crimea, che puntigliosamente smascherava gli intrallazzi dell’amministrazione e dei ministeri, che aveva spiattellato gli imbrogli legati ai Giochi Olimpici di Soci del febbraio 2014: “Nella Russia di Putin il soggetto è tabù e la discussione impossibile”. Appunto. L’impietoso rapporto sulla corruzione olimpica aveva fatto infuriare Putin, già bersaglio di un altro pamphlet, (“Putin, bilancio dopo 10 anni”, uscito nel 2010) in cui raccontava come l’uomo d’affari Ghennadi Timtchenko, che operava nel mercato energetico, avesse conosciuto Putin prima che pigliasse il potere e avesse sfruttato la sua amicizia per arricchirsi in modo spropositato. Timtchenko querelò Nemtsov, il tribunale dette ragione all’oligarca ed impose la pubblicazione di una smentita. Che non corrispose alle indicazioni del giudice, secondo quel che scrisse il Kommersant.

Lo scacchista Kasparov, da tempo al fianco di Nemtsov: “Sono devastato. Ora il Cremlino incolperà la Cia”

Stavolta, tuttavia, Putin piglia in mano la situazione. Non rilascia dichiarazioni ciniche come quelle dopo l’esecuzione della povera giornalista Anna Politkoskaja, ammazzata davanti all’ascensore di casa, il 7 ottobre del 2006 (giorno del compleanno di Putin). Fa subito sapere che secondo lui, la meccanica dell’agguato “ha tutto l’aspetto di un assassinio su commissione e tutto l’aspetto di una provocazione. Il fido portavoce Dmitri Peskov riferisce che il presidente ha tenuto un consulto coi vertici della sicurazza nazionale e ha sollecitato il Comitato d’Inchiesta, il ministero dell’Interno e l’Fsb (ex Kgb) a “indagare su questa tragedia”. Anzi, sarà il capo del Cremlino a coordinare le indagini che saranno sotto il suo “diretto controllo”. Ma l’implacabile Kasparov, che ieri ha lanciato una raffica di polemici tweet, è diffidente, peggio, è sicuro che “al solito il Cremlino incolperà l’opposizione o la Cia”. Se non addirittura spargere sospetti addosso all’Ucraina, “molti nemici di Putin sono morti. Ora ha bisogno di nuovi capri espiatori”. E un’idea su chi possa avere sparato, Kasparov ce l’ha e non la nasconde: “Nell’atmosfera di odio e di violenza di Putin, all’estero e in Russia, lo spargimento di sangue è il pre-requisito per dimostrare lealtà, cioè che sei parte della squadra”.

Era il grande timore di Nemtsov. La sua morte costituisce un fattore aggiunto di instabilità e adombra inquietanti incognite nel panorama politico russo in cui le forze nazionaliste e conservatrici si sono consolidate appoggiando incondizionatamente la leadership e la politica aggressiva di Putin. Per questo, l’ossessione di Nemtsov era quella di contrastare le derive putiniane (dittatoriali, secondo Kasparov) con un movimento d’opposizione unito e compatto, e aveva rivolto un accorato appello poche ore prima d’essere ucciso sulla sua pagina di Facebook: “Se siete per la fine della guerra russa con l’Ucraina, se sostenete la fine dell’aggressione di Putin, venite tutti alla Marcia di Primavera”. Credeva Nemtsov – racconta Kasparov – che la Russia potesse cambiare dall’interno senza violenza, e che in Russia si dovesse vivere a lungo prima di vedere un cambiamento. Lui non lo vedrà: non gli hanno permesso di vivere abbastanza.

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