Si tratta di 100 milioni di euro. Pochi forse, ma subito. E con le casse degli enti locali al collasso a chi non farebbe gola una cifra simile? A Bologna si ritorna a parlare della vendita da parte del Comune delle quote nella società Hera e nella maggioranza di centrosinistra che governa la città si scatena subito la polemica. Da settimane si parla della possibilità che l’amministrazione di Palazzo d’Accursio possa disfarsi di parte delle 144 milioni di quote azionarie della multiutility che si occupa di gas, spazzatura, acqua ed elettricità in gran parte dell’Emilia Romagna e non solo. Stavolta è stato il sindaco Virginio Merola, del Partito democratico, ad attizzare le polemiche il 28 novembre scorso.

“Porto a casa 100 milioni di investimenti in più per la nostra città”, ha detto parlando proprio della vendita delle quote. “Non ho assolutamente dubbi su quello che devo fare”. Da lì il putiferio, con l’alleato in maggioranza Sel a minacciare voti contrari in consiglio comunale: “Non si deve assolutamente accettare una politica di ricatti per cui si taglia agli Enti locali e poi gli si dice ‘vai a svendere le partecipate o i gioielli di famiglia’. Siamo assolutamente contrari a qualsiasi gestione di quote che vada sotto al 51% del controllo pubblico”. Poi gli attacchi sono arrivati anche dalla lista Tsipras e dalla Cgil.

Il problema non è di poco conto. Il Comune di Bologna è infatti azionista di maggioranza relativa di Hera con il 9,7% delle azioni. Con questa percentuale guida di fatto il Patto di sindacato, cioè una sorta di maggioranza di governo degli azionisti composta da decine di amministrazioni locali emiliano romagnole. Il Patto detiene una quota del 51% grazie alla quale controlla la holding. Per capirsi: amministratore delegato e presidente di Hera li indica il Comune di Bologna. Ora il Patto (di durata triennale) scadrà a fine anno, ma molti consigli comunali delle amministrazioni coinvolte (tra queste, oltre a Bologna, anche Rimini, Modena, Imola, Ravenna) stanno votando una proroga di 6 mesi. Perché? Perché una norma che dovrebbe (ma il condizionale è d’obbligo) entrare nella Legge di stabilità in discussione in parlamento, potrebbe cambiare tutto. La nuova regola garantirebbe al socio pubblico, anche senza la maggioranza assoluta delle quote (sarebbe sufficiente un 35%), la possibilità di controllare la società partecipata. Da qui la scelta di prorogare e attendere novità da Roma: “Speriamo che la nuova normativa introdotta dalla Legge di stabilità ci permetta di modificare la governance di Hera, consentendoci di vendere altre azioni mantenendo però il controllo”, ha spiegato la vicesindaco di Bologna Silvia Giannini.

Ma non è solo questione di equilibri di potere (potere che rischia comunque di sfuggire in gran parte dalle mani degli enti locali). È questione di soldi. Ed Hera per i Comuni è una gallina dalle uova d’oro. Solo l’ultimo anno il Comune di Bologna ha incassato quasi 14 milioni di euro di dividendi (si tratta di una parte degli utili), staccati da Hera a favore dei suoi azionisti. Ora si potrebbe fare un piccolo calcolo, con una premessa: Hera è una società quotata in Borsa; Piazza Affari stima in questi mesi il prezzo di una azione a circa 2 euro. Per incassare dalla vendita delle azioni 100 milioni di euro, come previsto da Merola, il Comune dovrebbe vendere quindi 50 milioni di azioni (oltre un terzo delle sue) al prezzo odierno. In termini di dividendi parliamo quindi di circa 4,5, forse 5 milioni di euro che mancherebbero ogni anno. Quindi nel giro di 20 anni l’incasso immediato di 100 milioni di euro sarebbe poi vanificato.

“In questo momento non è conveniente vendere, ma incassare i dividendi. Se cedi il tuo pacchetto di azioni, rinunci anche a quelli”, ha spiegato Daniele Manca il 30 novembre in una intervista al quotidiano la Repubblica. Manca è presidente del patto di sindacato, ma soprattutto, sindaco Pd di Imola, e come tale, anche uomo forte del Con.Ami., il consorzio formato dalle amministrazioni pubbliche locali dell’area di Imola. Il Con.Ami. negli ultimi anni ha fatto esattamente il contrario di quanto va ora dicendo Merola: ha comprato moltissime azioni Hera, spesso da piccoli comuni che volevano disfarsene. Ed è diventato il terzo azionista Hera dopo il Comune di Bologna e quello di Modena. E anche il sindaco di Modena Giancarlo Muzzarelli del Pd dal canto suo non sembra entusiasta dell’idea di vendere: “Nelle decisioni che il Comune dovrà assumere sulle azioni di Hera serve equilibrio tra la possibilità di venderne una quota più o meno ampia per realizzare investimenti e l’esigenza di mantenerle per poter contare anche nei prossimi anni sui dividendi che rappresentano un parte significate delle entrate correnti comunali”.

Ad ogni modo in città le polemiche a Bologna non si placano: “Per la Cgil queste sono scelte inaccettabili – ha scritto in un comunicato la Cgil – in quanto priverebbero il pubblico del governo di servizi essenziali per la comunità, con ripercussioni sulla qualità del servizio, sulle tariffe, sulla possibilità per il pubblico di avere strumenti di governo del territorio che, invece, andrebbero rafforzati”. Durissimo il commento anche dei comitati per l’acqua pubblica che nel 2011 combatterono e vinsero la battaglia del referendum: “Trainati da Renzi e dalla Legge di stabilità, che prevede vantaggi per le amministrazioni che vendono azioni delle aziende di gestione dell’acqua – proseguono dai comitati – i sindaci emiliano-romagnoli vogliono realizzare quello che non riuscì a Berlusconi col decreto Ronchi, abrogato col referendum del 2011”.

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