Entrare nella “Buffer zone” di Cipro, l’unica ‘zona cuscinetto’ sorvegliata dalla Nazioni Unite in territorio Ue, è un’esperienza singolare; i 180 km di territorio smilitarizzato che servono a tenere a distanza le divise della repubblica (greca) del sud, quella ufficiale, da quelle della sedicente entità (turca) del nord sono ormai un mondo a parte. Il suo interno, una striscia della superficie del Comune di Venezia è un museo a cielo aperto dei dieci anni di crisi (’64-’74) tra le due comunità; un luogo dove il tempo si è fermato all’estate di quarant’anni fa, ben un decennio dopo l’arrivo dei caschi blu dell’Onu sull’isola, dove gli unici abitanti del luogo che si intravedono sono contadini ed allevatori che hanno ottenuto dalle Nazioni Unite concessione per sfruttare i terreni dell’area smilitarizzata.

Cipro-540

La mia guida è l’addetto stampa della missione, un capitano slovacco con una conoscenza capillare dei fatti di quell’estate del ’74: è lui a farmi strada per le colline deserte della zona di interposizione con destinazione l’aeroporto (abbandonato) di Nicosia: “Oggi non sarebbe adatto neanche per voli a breve raggio: la pista è troppo breve e fuori dalla Buffer Zone si è costruito tanto da rendere improbabile qualunque ipotesi di futuro recupero della struttura” racconta. Venne promosso a scalo commerciale internazionale nel ’68 e per i tempi era un aeroporto di tutto rispetto. Oggi matasse di filo spinato impediscono a chiunque l’accesso ma lo spettacolo desolante è ben visibile dagli usci devastati: l’interno è una vera e propria piccionaia e il tappeto di guano, vetri infranti, travi di legno marcite e sedili divelti sono tutto ciò che resta degli appena sei anni di servizio. Sulle pareti sono ancora ben in vista manifesti pubblicitari degli anni ’70 ed i banchi di accettazione pre-lotta al terrorismo, senza metal detector e scanner, sono una testimonianza di un’epoca in cui viaggiare in aereo era ancora un lusso per pochi.

Accanto all’edificio ci sono due gli aerei della Cyprus Airways parcheggiati da 40 anni: furono colpiti dall’esercito turco durante la battaglia per il controllo dello scalo, nel corso della prima fase dell’invasione dell’isola. E da allora non sono mai stati rimossi. La base della missione Unficyp si trova a breve distanza e la sua sede sovrasta entrambi i mondi di Nicosia, quello euro-occidentale del versante greco e quello kemalista-secessionista del versante turco. Il migliaio di caschi blu, provenienti da una dozzina di paesi diversi (inclusi 4 carabinieri inviati dall’Italia) hanno il singolare compito di mantenere congelata la storia in questo porzione di Ue (tecnicamente la Buffer Zone è territorio della repubblica di Cipro, “temporaneamente” sotto controllo dell’Onu) senza civili ma allo stesso tempo di amministrare l’andamento della vita quotidiana e la miriade di contenziosi legali che la guerra-lampo del ’74 ha generato.

Sulla carta, il loro contratto di servizio è di garantire il rispetto del cessate il fuoco di allora e di attendere che un giorno la politica decida di decidere. Da un lato è vero che a Cipro non si spara più un colpo dal ’74 ma dall’altro nonostante i valichi di accesso consentano di attraversare la zona smilitarizzata non si può negare che la tensione sia ancora alta. E lo è nonostante le caffetterie, i ristorantini ed i club che sono spuntati come funghi vicino a Ledra street, commercialissima via nel cuore di Nicosia, sul versante meridionale della Buffer Zone, frontiera (di fatto) delle due Cipro e dell’Ue. Già due generazioni di residenti della capitale, sono cresciuti con lo spettacolo decadente della zona cuscinetto che taglia in due la loro città, abituati a fare lo slalom tra edifici diroccati, barili, filo spinato e ed i locali della movida che sfruttano lo spettrale e suggestivo panorama che si staglia oltre la frontiera di fatto. Potrebbe sopravvivere l’isola senza la Buffer Zone? Difficile da dire. Secondo il personale delle Nazioni Unite, no. Ufficialmente la massiccia presenza dell’esercito turco (quello della madre patria per capirci) a Nord e le troppe questioni irrisolte, renderebbero rischioso un passo indietro ma di fatto il timore di una eventuale escalation successiva al ritiro del personale internazionale dall’isola, che decreterebbe il fallimento della più longeva missione militare dell’Onu dalla sua fondazione, toglie il sonno a molti.

E se da un lato le “colpe” ufficiali ricadono in larga parte sull’ostinazione turca di non volersi arrendere alle risoluzioni dell’Onu, alla repubblica del sud, quella greca, quella riconosciuta ed ufficialmente nell’Ue, dall’altro lato -non solo in senso figurato- la repubblica turco-cipriota, quell’entità che nessun funzionario della missione Unficyp può azzardarsi a nominare nei documenti ufficiali come tale (per i greci si può parlare solo di “territorio occupato” e di “comunità del nord”) esiste e la settimana scorsa ha commemorato i 31 anni dalla sua proclamazione di indipendenza. Ufficiale o meno, la vita a nord della “zona morta” nella striscia di interposizione è andata avanti.

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