Da autista dell’ex presidente di Regione dell’Emilia Romagna Antonio La Forgia a capogruppo del Partito democratico “due volte dimissionario”. La carriera di Marco Monari finisce così, con un passo indietro nel 2013 dal ruolo di capogruppo e una autosospensione dal Pd un anno dopo. Le ragioni? Prima l’inchiesta sulle spese pazze e 30mila euro di pranzi e cene contestate (insieme a 2 notti a Venezia), poi l’audio registrato di nascosto durante una riunione dei capigruppo in Regione in cui dice: “Giornalisti servi della gleba. Gabanelli? Una troia”. E altre frasi che hanno imbarazzato il Partito democratico. Gli inquirenti gli contestano in generale oltre 900mila euro (un terzo di tutta l’inchiesta), anche se nella sua qualità di capogruppo Monari risponde anche per le spese dei suoi colleghi di partito.

A pochi giorni dalle prossime elezioni, tra i corridoi del Pd lo sconforto e la rabbia è tangibile. Nessuno dei Democratici sembra disposto a dargli attenuanti, anche perché – come fanno notare, off the records, diversi esponenti del partito – Monari si è sospeso dal partito ma non dal ruolo di consigliere regionale. Continuerà dunque a vedersi retribuito lo stipendio da consigliere fino alla fine della legislatura, poi, una volta decaduto dal suo ruolo, percepirà arrivato a 60 anni il vitalizio, a cui, a differenza di diversi suoi colleghi del Pd, non ha mai rinunciato (dalla prossima legislatura, ricordiamo, il vitalizio per i consiglieri regionali è stato abolito). “Già ha speso soldi dei contribuenti con spese e cene allucinanti – dicono, a microfoni spenti dal Pd – in più non rinuncia neanche al suo stipendio fino alla fine della legislatura. Sarebbe stato il minimo”. Qualcuno aggiunge: “Lo sapevo che Monari prima o poi ci avrebbe messo nei casini e avevo ragione”.

Ma da dove arriva Marco Monari? La sua parabola nel Pd – ricordano i più stagionati nel partito – nasce quando inizia a fare da portaborse-autista ad Antonio La Forgia, assessore a Bologna dal 1985 al 1990 e poi segretario del Pds (prima comunale poi regionale) dal 1991 al 1996, quando diventa presidente della Regione e poi confluisce nella Margherita. Monari, diplomato e iscritto all’Ordine dei Giornalisti, diventa, nel 2003, alla sua nascita, segretario regionale della Margherita e membro della Direzione nazionale. Tra i fondatori del Partito Democratico dell’Emilia-Romagna, è componente dell’Assemblea nazionale, della Direzione regionale e membro del coordinamento politico regionale del Pd. E’ stato tra i fondatori del movimento “I Democratici” nel 1999, di cui è stato vicecoordinatore regionale. Nel 2005, l’approdo in Regione come consigliere. Viene riconfermato nelle consultazioni regionali del 28-29 marzo 2010, per la Lista “Centro Sinistra per l’Emilia-Romagna” e diventa capogruppo.

Nel Pd, intanto, sale la preoccupazione in vista delle elezioni Regionali. Gli avvisi di fine indagine ai consiglieri dem hanno reso più concreto il rischio di astensionismo e le esternazioni accese, e in seguito l’autosospensione di Monari, hanno aumentato il carico. “La gente, anche la nostra gente” – dicono dai corridoi del Pd – “è stanca e demotivata. La campagna elettorale è fiacca e il comportamento indubbiamente “allegro” dei consiglieri aggrava le cose. C’è il pericolo che gli elettori del Pd non vadano a votare”.

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